venerdì 25 aprile 2008

Il vecchio asilo

Quando ero piccolo vivevo in un paese di montagna, faceva freddo tutto l'anno, soffiava un vento terribile, e a metà agosto già cominciava a nevicare.
Mio padre lavorava ancora nei carabinieri, ora è in pensione e la sua occupazione preferita sembra sia leggere storie di terrore e di fantasmi.
Fantasmi...chissà se esistono veramente!
Una volta al mese circa, tutta la famiglia saliva sulla nostra Ferrari rossa fiammante, una Fiat 128 che, come tutte le macchine di allora, dava affidamento solo quando la si spegneva.
Lentamente , ci apprestavamo a trascorrere un fine settimana diverso dal solito, la nostra meta era la casa della nonna, che adesso, nonostante l'età, non è meno arzilla di allora.
Ciò che più ci piaceva era sentire le storie che mio padre ci raccontava per farci stare buoni, e vi garantisco che ci riusciva senza nessun problema.
Ci teneva incollati al sedile della nostra 128 come se i mostri e i fantasmi di cui ci parlava fossero di fianco a noi pronti a saltarci addosso ad ogni nostro minimo movimento.
Mi ricorderò sempre che mentre mio padre parlava potevamo sentire il nostro battito che, sempre più forte, sembrava coprisse le parole; solo mio fratello Roberto ogni tanto fiatava, ma solo per soffiarsi il naso perennemente raffreddato.
La storia che sto per raccontarvi era, a detta di mio padre "una delle più raccapriccianti che essere umano avesse mai udito", non che allora capissi bene il significato di tutte le parole che mio padre utilizzava, ma avevo appena cinque anni e, nonostante fossi abbastanza in gamba per la mia età, o almeno così pensavo allora, ancora ero piccolo e me ne rendevo conto quando, stando in piedi affianco a mio padre non raggiungevo neanche la cintura dei suoi pantaloni.
Quella volta mio padre cominciò così:
"Vi ricordate quel vecchio edificio di fronte al campo di pallacanestro? Ebbene, quello un tempo era un asilo, mi ricordo che venne chiuso nel 1972, dopo la morte di una delle suore ed altri fatti molto raccapriccianti accaduti in quel periodo."

Quella volta ci fermammo alla fontana perché mia madre voleva che prendessimo dell'acqua da portare a mia nonna, non per capriccio ma perché nel suo paese, che poi è anche il mio, veniva distribuita solo una volta ogni tre giorni. Così, per qualche istante, l'atmosfera tesa che si era creata all'interno della macchina si sciolse come neve al sole e già, io e i miei fratelli cominciavamo ad agitarci e a giocare rincorrendoci intorno alla fontana; tutto ciò durò solo il tempo di riempire la solita lattina da venti litri, poi come per incanto, ci ritrovammo tutti in macchina ed il terrore tornava ad impossessarsi di noi.
"Vi stavo dicendo...", proseguì mio padre come se non ci fossimo mai fermati, "...che l'asilo venne chiuso nel 1972. In un primo tempo il parroco del paese, se non sbaglio allora c'era ancora don Francesco, e tutta la popolazione si erano opposti alla chiusura dell'asilo ma poi in seguito agli avvenimenti che si verificarono durante l'indagine per la morte della povera suor Giuditta, nessuno ebbe più niente in contrario a che le porte di quella vecchia casa venissero murate, come pure le finestre, e che il cancelletto di legno che portava al vecchio campo di pallacanestro e che fungeva da accesso anche all'asilo fosse sostituito da un pesante cancello in ferro che, anche senza il cartello che vi era appeso fuori, incuteva timore.
Il cartello era grande, bianco con una scritta rosso sangue che diceva:
CASA PERICOLANTE, PERICOLO DI MORTE.
Così decisero di scrivere le autorità che si occuparono di questo caso e cioè il sindaco, il brigadiere dei carabinieri ed il vecchio bibliotecario del paese.
Prima della sua chiusura l'asilo era abitato da tre suore, suor Giuditta, suor Maria e suor Anna. Suor Giuditta era la più anziana, doveva avere circa sessanta anni ma quando fu trovata morta ne dimostrava almeno il doppio tanto la pelle era secca e rattrappita. Nelle sue vene non fu trovato neanche una goccia di sangue, come se qualcuno se ne fosse nutrito, ma sul corpo non presentava nessun genere di ferita, niente di niente.
Era una bella mattina di primavera, se non mi sbaglio il calendario segnava il 15 maggio, certe date non si dimenticano facilmente..."
In quel momento noi tutti provammo un brivido di terrore perché mio padre fece una brusca frenata a causa di un cane che attraverso la strada. Ci sembrò che il cane fosse il fantasma della vecchia Giuditta venuto sulla terra per vendicarsi di noi che col nostro racconto avevamo disturbato il suo sonno eterno. Ciò che ci riportò alla realtà fu lo strombazzare dei clacson delle macchine che ci seguivano.
Io ho sempre ammirato mio padre, soprattutto in quel momento che, come se niente fosse, innestò la prima e ripartì.
L'aria divenne nuovamente pesante e il freddo pungente di quel mattino di gennaio unito alla paura, avevano l'effetto di una purga su di noi; la voce calda e pacata, ma nello stesso tempo cavernosa, di mio padre continuava il suo racconto.
"L'allarme fu dato da suor Anna che mentre si accingeva ad aprire il cancello che dava sulla strada vide suor Giuditta riversa in terra, con la faccia sull'erba umida del mattino e con la sua lunga veste tirata su fino a scoprirle i polpacci grossi, coperti dalle bianche calze di cotone pesante.
A quel macabro spettacolo suor Anna cominciò ad urlare e poi scappò di corsa dentro, per la paura dimenticò di aprire il cancelletto di legno.
In quel momento passava per la strada il brigadiere dei carabinieri che come tutte le mattine, con la sua divisa stirata di fresco e con il suo solito sorriso sgargiante, si recava in caserma. Dovevano essere circa le 07.45 ed ancora il sole non aveva riscaldato quelle poche case che formavano il paese di Chiodi.
Quando sentì le urla di suor Anna il suo sorriso a " ventiquattro carati ", come lo chiamavano gli amici si trasformò in quella seria espressione che gli si leggeva in volto ogni volta che, durante il suo lavoro, gli capitava di aver a che fare con qualcosa di raccapricciante ma, fino a quel momento, di perfettamente logico e razionale. Si precipitò verso il cancelletto in legno e non gli ci volle molto ad aprirlo nonostante vi fosse un fermo ad uncino che lo bloccava dall'interno. Non appena aperto, vide il corpo della povera suor Giuditta e subito si accostò ad esso con la calma di chi ha già visto la morte tante volte."
Forse voi non potete capire quale effetto potessero avere queste parole su di noi, piccoli pargoletti, che al solo pensare al buio ce la facevamo sotto, ma la voce di mio padre non cambiava mai inflessione, come la voce di chi ha, più di una volta visto scorrere via la vita dalle membra di un corpo ferito a morte. Fu proprio in quel momento che Bruno, il terzo di noi, che allora aveva circa due anni e mezzo, urlò: "Mamma, pipì !"

Poco ci mancava che io e mio fratello Roberto ci restassimo secchi dalla paura e se non ce la facemmo sotto fu solo perché quella non era la prima volta che mio padre ci raccontava storie di questo tipo.
La sosta fu breve, qualche minuto soltanto, ma servì a tutti, l'aria fresca ci svegliò e distolse i nostri pensieri dal ricordo della suora morta. Mia madre ne approfittò per prepararci qualcosa da mangiare, prese dal portabagagli una grande borsa di vimini in cui vi era del pane, del formaggio e qualche pera fresca. "A pancia piena si viaggia meglio", é il motto di famiglia!
Il viaggio riprese e puntuale come la morte riprese anche il racconto di mio padre.
"Il brigadiere si accostò al corpo di suor Giuditta, si rese subito conto che vi era qualcosa di strano in quel cadavere, era secco, non caldo come se una persona fosse appena morta, ne freddo come quando il sangue ha smesso di circolare da molte ore. Secco come quello di una vecchia mummia o di una falena morta, come quelle che si trovano su di un vecchio mobile che non si spolvera da anni.
In queste condizioni venne ritrovata suor Giuditta.
Il brigadiere era chino sul cadavere lo stava rivoltando quando, dalla porta del vecchio asilo, spuntò fuori timidamente la testa di suor Maria che avendo ascoltato il racconto di suor Anna ed essendo più coraggiosa la precedeva per verificare l'accaduto.
Vi lascio immaginare la scena: un piccolo cortile in cui si trova un cadavere vecchio di cent'anni o almeno così si sarebbe detto, un brigadiere curvo su di esso e sullo sfondo una porticina dalla quale stanno uscendo due suore spaventate a morte. Vedere il brigadiere, o meglio una sagoma nera china sul cadavere di suor Giuditta fu, per la coraggiosa suor Maria, un colpo tremendo, stramazzò a terra svenuta e ci vollero venti minuti e tutti i sali a disposizione per farla rinvenire.
Frattanto era stato chiamato il medico, un tipino alto, magro, sempre vestito di scuro e che pareva avesse paura anche della sua stessa ombra e per di più aveva una voce che pareva fosse lui il malato; comunque in quella occasione si dimostrò forte e non svenne, ma forse solo perché aveva in mano i sali per far rinvenire suor Maria.
Dopo aver superato il trauma iniziale, suor Anna, fu la più forte di tutti i presenti infatti fu proprio lei che si prese la briga di vegliare di continuo il corpo della povera morta, in compagnia di un giovane carabiniere che, poveretto, alla vista del cadavere divenne più bianco del colletto della sua camicia.
La notizia della morte della povera suor Giuditta si diffuse velocemente per il paese e quella mattina i bambini non vennero portati all'asilo e lo stesso accadde nei due giorni successivi.
Le indagini condotte dal brigadiere procedevano senza esito nonostante l'impegno di tutti, vennero interrogati tutti coloro che per un qualunque motivo avevano visto suor Giuditta nei giorni precedenti la sua morte, ma non si scoprì nulla. Suor Anna disse che ultimamente suor Giuditta si comportava in maniera strana, sembrava impaurita, parlava poco, ma soprattutto nei due giorni precedenti la sua morte, verso le dieci della sera si metteva al centro del cortile e, dopo aver fatto un giro lungo il perimetro, recitava alcune frasi lette da un misterioso libriccino con la copertina rossa che teneva gelosamente nascosto. La prima volta che si comportò in modo così strano risaliva a due giorni prima della sua morte; in quella occasione fu notata da suor Anna che, incuriositasi avvicinò a lei mentre recitava delle frasi incomprensibili. Mentre le si avvicinò si rese conto che non sembrava normale, infatti aveva gli occhi particolarmente brillanti, leggermente arrossati e non si era resa conto della sua presenza, sembrava trovarsi in uno stato di semi incoscienza. Li per li però non ci aveva fatto troppo caso, aveva pensato che stesse pregando e si ripromise di chiedere spiegazioni il giorno successivo, cosa che fece puntualmente.
Quando la mattina dopo chiese se stesse bene e raccontò ciò che era successo la sera prima, suor Giuditta si comportò stranamente e invece di dare spiegazioni si adirò e la rimproverò, le disse che la curiosità e il diavolo erano la stessa cosa e che era dovere delle più giovani non mettere il naso in ciò che non potevano capire perché Lui non voleva. Suor Anna se ne andò umiliata e da quel momento passarono tre giorni prima del sinistro ritrovamento.
Nei tre giorni che seguirono la morte di suor Giuditta l'asilo rimase chiuso e le suore dormirono presso la casa parrocchiale, poi l'asilo venne riaperto.
Andrea era il più grande dei bambini che frequentavano l'asilo, aveva appena compiuto cinque anni ma dimostrava di essere molto più maturo degli altri bambini della sua età, non lo si poteva definire un genio ma già si poteva dire che sarebbe diventato qualcuno se fosse sopravvissuto a quei giorni.
Nei giorni che seguirono le indagini accadde qualcosa di strano, cominciò ad impallidire ed ogni tanto diceva qualche parola senza senso apparente ma nessuno ci fece troppo caso.
Se avessero capito ciò che stava accadendo, gli altri bambini, avrebbero raccontato che da qualche giorno a questa parte Andrea, verso le dieci del mattino quando tutti si trovavano fuori per giocare, faceva un giro completo del cortile, quindi si metteva al centro e traeva dalla tasca un libriccino rosso che prima sfogliava tranquillamente, quasi senza comprendere cosa facesse, poi leggeva alcune frasi apparentemente senza senso e quindi riponeva gelosamente il libriccino nella tasca del suo grembiule. Avrebbero potuto dire anche che durante tutto questo cerimoniale i suoi occhi erano leggermente arrossati.
La mamma cominciò a preoccuparsi quando, un giorno, Andrea prese la Bibbia che si trovava abitualmente sul tavolino della televisione e cominciò a recitarne alcuni versi. Che fosse un bimbo intelligente era risaputo ma da li a leggere ed essere in grado di spiegare la Bibbia c'è una bella differenza.
La madre per poco non ci restò secca quando due giorni dopo aver scoperto che Andrea sapeva leggere, si presentò a casa sua il brigadiere dei carabinieri con una faccia scura che non preannunciava niente di buono.
Il piccolo Andrea fu trovato morto quella mattina, verso le dieci e mezza, nella stessa posizione della suora e come se non bastasse ridotto anch'egli come una orrenda mummia.
Le indagini vennero intensificate, non si trascurò nessuna pista, vennero interrogati gli abitanti di mezzo paese ma senza scoprire nessun elemento utile.
Non volendo rischiare che potessero ripetersi nuovi casi decisero di chiudere l'asilo fino a quando non sarebbe emerso qualcosa.
Poi un giorno, qualche mese dopo i fatti che vi ho narrati, mentre il bibliotecario compiva delle ricerche negli archivi della chiesa, scoprì dei documenti antichi, tra questi vi era una vecchia carta della zona che attirò subito la sua attenzione perché riportava l'esistenza, in tempi passati, di un cimitero che si trovava esattamente dove adesso sorge l'edificio che ospitava l'asilo. Dai documenti rinvenuti sempre presso l'archivio si scoprì che il cimitero venne sconsacrato quando ci si accorse che una donna ritenuta essere una strega vi andò ad abitare e, così dice la leggenda, tutte le notti usciva da una tomba per prendere un essere umano e nutrirsi del suo sangue. La leggenda dice che il prete riuscì a mandare via la strega nascondendo un libriccino rosso, che si dice fosse una versione in lingua ebraica della Bibbia, vicino al luogo in cui viveva. La presenza di questa Bibbia impediva alla strega di uscire dalla sua tomba che poi col tempo venne coperta dalla terra.
Tutto ciò divenne leggenda e dopo tanti anni venne dimenticata fino a quando il caso volle che suor Giuditta, urtando con la zappa un orcio in terracotta mezzo disseppellito, ne trasse un libriccino rosso e incuriosita, ne lesse le prime parole, che tradotte nella nostra lingua suonano più o meno così:
Finché la sacra parola resterà nascosta
nei pressi della tomba del Male
il Demone che é stato qui
e che ora non é più,
resterà confinato nei più profondi
recessi della notte,
dove a nessun uomo é dato di mettere piede.
La forza della sacra parola
terrà il Male lontano da questa Terra.

Il libriccino proseguiva dicendo come fare per rendere innocua la strega se questa un giorno fosse tornata ad infestare la terra, diceva anche che chi ne fosse venuto in possesso, se di animo buono, avrebbe acquisito la sapienza e le capacità di chi l'aveva scritto così da poter capire che bisognava seppellirlo nuovamente dopo avere seguito un certo cerimoniale, quello seguito da suor Giuditta e da Andrea. Purtroppo per loro la strega era stata più veloce ed era riuscita ad ucciderli prima che il cerimoniale fosse portato a termine, bisognava infatti ripeterlo per tre giorni consecutivi perché avesse effetto.
La chiusura del cancello dell'asilo e l'aspersione con acqua santa del suo perimetro, compiuta dal sacerdote del paese per allontanare la presenza di eventuali forze del Male presenti nell'asilo ebbe come effetto quello di impedire alla strega di uscire nelle notti successive, ma questa barriera non sarebbe durata a lungo.
Fortunatamente per tutti il bibliotecario che già aveva contribuito alla soluzione del caso riuscì a trovare una copia di quella Bibbia che già una volta servì per bloccare la strega, questa evidentemente aveva gli stessi poteri dell'altra, perché il solo possederla gli diede quella sapienza e quelle conoscenze che occorrevano per far risprofondare quella creatura di Satana da dove era venuta."
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

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