sabato 21 aprile 2018

Racconto imperfetto...

Era una notte scura e senza luna.
Le stelle pallide, dietro un sottile velo di foschia, erano l'unica fonte di luce.
Camminavo a tentoni in mezzo al campo, inciampando di tanto in tanto in qualche radice o cespuglio invisibile ai miei occhi. Ripensandoci oggi, a distanza di tanto tempo, sento ancora i brividi di paura.
Il freddo intenso...

Ma che sto scrivendo?

Paolo strappò il foglio dalla macchina da scrivere e lo buttò nel cestino, o quanto meno ci provò.
Quella sera il pavimento era cosparso di prove e tentativi. Prove di scrittura e tentativi di azzeccare il cestino!
Il risultato era disseminato sul pavimento della veranda.

Fuori era una bella serata di primavera.
La luna illuminava una striscia di mare poco profondo che restituiva a chi osservava la vista di un'acqua trasparente che solo in Sardegna si poteva trovare.
L'aria era calma e fresca, piacevole. Ancora non c'erano state quelle giornate di caldo intenso che lasciavano l'aria piena di umidità, tipiche dei mesi di luglio e agosto.

Paolo si alzò dalla scrivania e uscì in veranda. Una boccata d'aria, forse, gli avrebbe permesso di sbloccarsi e trovare un attacco degno di questo nome per il suo prossimo racconto.

Erano mesi che scriveva quasi senza interruzione.

Il suo editore attendeva e il suo pubblico ancora di più, a detta sua.
E Paolo non voleva farli attendere.
Aveva bisogno di soldi!
Quelli servivano sempre e lui non riusciva a tenerne mai da parte a sufficienza per soddisfare le sue spese, le sue necessità e i suoi capricci...

La veranda era ampia e spaziosa, costruita in legno d'olivo quasi sopra il mare. L'aveva fatta realizzare, subito dopo aver acquistato la casa, da un falegname del luogo che si era dimostrato all'altezza della sua fama.
Si sentiva ancora l'odore della vernice fresca. Il legno era bello ma necessitava di continua manutenzione e all'inizio della primavera, come ogni anno, Paolo aveva chiamato Giovanni, un amico che al contrario di lui aveva il dono della manualità per effettuare i soliti piccoli ritocchi.
Giovanni si era occupato di qualche  riparazione e di riverniciare la veranda che era tornata come nuova.

Poco lontano, sulla destra, si intravvedeva la lunga distesa di spiaggia di Platamona con le sagome scure dei pescatori che si stagliavano ben definite sulla spiaggia bianca.
Sulla sinistra, immersa nell'oscurità delle rocce, era possibile distinguere la torre spagnola, una delle tante ancora in piedi lungo le coste sarde.

La brezza leggera portava con se profumi e rumori.
Il profumo di pesce arrostito sulla spiaggia e il rumore di un gruppo di ragazzi che festeggiavano chissà cosa. Beata gioventù!

Paolo respirò a fondo cercando di trovare l'ispirazione che sembrava essere scappata proprio nel momento del bisogno. Diede un'ultima occhiata al mare e si voltò per tornare alla sua scrivania in legno, sulla quale stava poggiata la macchina da scrivere e una pila di fogli bianchi.
Mentre si girava udì un rumore provenire dalla spiaggia, come di qualcuno che corresse, quindi uno sparo, un colpo di pistola, poi un altro e un terzo.

Di colpo intorno a lui tutto  si fece scuro...

Cadde a terra, faccia in avanti, ma non sentì dolore.
Prima di chiudere gli occhi, sentì l'odore dolciastro del sangue sul legno del pavimento e vide una macchia scura che si allargava in cerchio attorno alla sua faccia...

No!
Non va bene.
Chi vuoi che legga un romanzo in cui il personaggio principale è uno scrittore mezzo fallito che scrive ancora con la macchina da scrivere?
Per carità!
Alessandro chiuse il file senza salvarlo, colto da un momento di nervosismo, un momento che però ormai durava da diverse settimane.
Non riusciva proprio a scrivere.
Forse era l'ambiente.

Per fortuna non aveva problemi di soldi.
I suoi precedenti romanzi avevano avuto un discreto successo di pubblico ed erano stati venduti in diversi stati.
L'idea di scrivere in spagnolo era stata vincente.
La maggior parte dei colleghi continuavano a scrivere in inglese dimostrando di non essere in grado di capire...
Alessandro aveva un Dottorato in Economics che gli aveva sempre consentito di trovarsi un passo avanti rispetto agli altri.
L'analisi dei mercati gli aveva detto che i libri in lingua inglese erano un business solo per chi aveva già avuto un certo successo.
Era molto difficile conquistare una fetta di mercato che andava strappata a qualche scrittore troppo famoso per lui. Invece il mercato dei libri in lingua spagnola era in crescita e gli scrittori erano pochi se paragonati agli inglesofoni.
Si poteva provare.
Il suo primo romanzo aveva venduto due milioni di copie. Un successo subitaneo quanto inaspettato!

"Domani parto", pensò a voce alta.
"Spero proprio di ritrovare la vena.
Il volo per la Sardegna parte alle 10 e la stanza a Orgosolo è già prenotata per un mese.
Bene, meglio andare a dormire".

La mattina dopo prese l'aereo per Olbia. All'aeroporto lo attendeva un ragazzo del paese con una vecchia utilitaria che guidava come fosse una ferrari.
Nelle curve che si arrampicavano su per le montagne di Orgosolo più d'una volta temette di finire giù per un burrone.
Le strade erano strette e tutte curve. 
I muretti in pietra che fungevano da protezione non davano alcuna garanzia di sicurezza.
Chiuse gli occhi, un po per cercare di riposare, un po per evitare di pensare alla morte che potenzialmente lo attendeva dietro ogni curva. Aveva provato a protestare ma il ragazzo rallentava per un attimo e poi riprendeva a correre più forte di prima. Meglio lasciar fare e sperare...

Arrivarono al suo B&B verso le tre del pomeriggio. La sua stanza era pronta, comoda e confortevole.
Nell'aria si sentiva ancora l'odore della carne arrosto e del mirto fresco. La corsa in macchina gli aveva tolto l'appetito ma a certi odori non si può resistere.
Un bicchiere di vino nero, cannonau fatto in casa, lo aveva subito rivitalizzato così decise di assaggiare un dolce tipico di cui non ricordava il nome, di un gusto particolare, a base di formaggio e miele.
Il resto della serata lo passò a disfare la valigia e sistemare il suo angolo di lavoro.

La stanza era ampia, un letto rustico ad una piazza e mezza in legno d'olivo occupava la parete sinistra della stanza, in fondo si trovava un bagno semplice ma comodo e pulito. Sulla destra vi era un piccolo frigo e la scrivania, ampia quasi quanto il letto con una grossa e luminosa lampada da lettura, occupava tutta la parete.
Alessandro vi posizionò il suo laptop e i libri che lo seguivano ovunque, una copia dell'Odissea, un vecchio volume di Erodoto e un libro di fantascienza di Isaac Asimov, il suo scrittore preferito. Agenda e penne completavano l'armamentario.

Il tempo era bello. L'aria di montagna fine e ricca di ossigeno era impregnata di profumi di fiori selvatici.
Di tanto in tanto si sentiva lo scampanio di qualche capo di bestiame che vagava libero per i dirupi...

"Basta!
Non mi piace", disse la ragazzina bionda al ragazzo che le stava seduto a fianco e leggeva a voce alta.
"Questo romanzo non dice niente, e poi sono stanca di stare seduta qui...
Andiamo a prenderci un gelato?"

Lui annui. 
Poggiò il libro sulla panchina, esattamente dove l'aveva trovato.
Guardò ancora una volta la copertina consumata dal tempo prima di abbandonarlo nuovamente... "Racconto Imperfetto", recitava il titolo.

"Si, è proprio vero!
E' proprio un racconto imperfetto..."
Aggiunse ridendo, mentre le correva appresso.

Il libro restò li, sulla panchina, ancora una volta abbandonato, aperto a metà, in attesa che qualcuno lo trovasse e, magari, apprezzandolo, lo portasse con se in casa, in mezzo ad altri libri come lui... imperfetti forse, ma più fortunati!

Alessandro Rugolo

martedì 17 aprile 2018

Le ossa del drago

Camminavamo assieme come ogni sera lungo la pista ciclabile di Porto Torres.

Il mare era mosso e le onde si infrangevano rumorosamente sugli scogli sollevando schiuma bianca che ricadeva sulla roccia nuda.

Ci fermammo un attimo ad osservare il mare.

Di fronte a noi si stagliavano, immerse nella foschia, quasi irreali, le cime dell'isola dell'Asinara.

- Guarda! - dice mia moglie - sembrano galleggiare sul mare.
La foschia in cui l'isola era immersa faceva si che sembrasse galleggiare 
nell'aria.
- Si, hai ragione, è molto bella. Faccio una foto...

Ci fermammo un attimo, il tempo necessario per scattare qualche foto e stavamo per riprendere la camminata quando dietro di noi si fermò un vecchio.

- Bella vista, vero? - disse, rivolgendosi a noi in sardo, ma con un accento particolare.
- Si, fantastica...
- Quelle sono le ossa del drago. - aggiunse il vecchio indicando le cime dell'isola che emergevano dalla foschia. 

Era impossibile non notare la sua pelle scura e secca. Il viso era raggrinzito come una prugna secca e sulle labbra e sulla fronte i segni del tempo erano incisi in profondità. Doveva avere almeno... novant'anni, pensai!
Eppure niente nei suoi movimenti denotava stanchezza o vecchiaia.
Gli occhi erano neri e lucenti, profondi. Di bassa statura, spalle robuste, braccia ancora spesse e muscolose spuntavano da una vecchia maglietta pulita ma consumata dal tempo.
Si era fermato a guardare l'isola, affianco a noi, con quei suoi occhi antichi.
- Scusate - mormorò a bassa voce, e fece per andar via.
- Perchè dite che quelle sono le ossa del drago? - Domandò mia moglie incuriosita più dalla figura del vecchio che dalle sue parole - Cosa significa?

Il vecchio si era già girato di spalle, pronto ad allontanarsi silenziosamente come era arrivato. La domanda lo sorprese, forse, perchè si fermò di scatto e voltatosi, ci guardava fisso, prima lei, poi me, poi di nuovo lei... come se fosse indeciso su cosa dire.

- Volete sentire una storia antica?
- Si, naturalmente! - disse mia moglie, mettendosi seduta nella panchina che stava proprio affianco a noi e porgendo al vecchio la mano. Io sono Giusy...
- ed io Alessandro.

- Bene, allora ascoltate... - e cominciò a raccontare, con la sua voce profonda da vecchio...

- Ci fu un tempo in cui la terra era molto diversa da come la conosciamo oggi. Il mare non era così grande, le montagne erano giovani ed alte. Il paese, qui dietro, non era altro che un piccolo villaggio di capanne di pescatori che si stendeva laggiù - e indico il mare di fronte a noi - e tutta questa terra era una unica distesa di boschi di querce.
Era estate ed il mare era calmo. Era liscio come l'olio, e molti pescatori erano usciti al largo con le loro barche. Si pescava bene in quei giorni, splendide orate, spigole, scorfani e sardine abbondavano. Gli uomini rispettavano il mare e il mare rispettava gli uomini. Non come oggi... - e mentre raccontava gli occhi gli si illuminavano, come se parlando rivivesse quei momenti passati con rimpianto. Aveva un suo modo di parlare che aveva qualcosa di particolare, di affascinante. La pelle della fronte si aggrottava e distendeva, mentre parlava. Tutto il suo corpo si tendeva mentre si concentrava per cercare di ricordare. Sembrava quasi che lui fosse stato li presente, protagonista della sua storia.

- Dai vostri sguardi capisco che possiate non credermi, non vi chiedo di credermi, ma ora ho iniziato... abbiate pazienza ed ascoltate le farneticazioni di un vecchio pescatore.

- La vita scorreva tranquilla. Ogni giorno il sole sorgendo illuminava gli uomini intenti nelle loro occupazioni. C'era chi pescava, chi esercitava la professione di medico, chi allevava bestiame, chi panificava. I bambini andavano a scuola e, per prima cosa, imparavano come si deve rispettare la natura. I capi delle comunità, oggi diremo i sindaci, si occupavano del benessere di tutti e avevano una grande cura delle cose di tutti. Il loro compito era far si che ciò che il paese aveva ricevuto dai loro avi e predecessori venisse passato integro ai figli e ai figli dei loro figli.

Le parole avevano un suono familiare. Non conoscevamo il vecchio ma era come se fosse stato sempre di famiglia. Era come se uno dei nostri nonni fosse tornato in vita e noi, bambini, lo ascoltavamo in riverente silenzio...

- Le guerre erano rare. Era da tempo che nell'isola non si avevano più problemi con i pirati. Gli ultimi erano stati scacciati definitivamente in una grande battaglia sul mare, dove oggi c'è la spiaggia di Stintino e le nuove generazioni non avevano idea di cosa significasse combattere per la propria sopravvivenza. Forse ciò fu causa, almeno in parte, di ciò che accadde dopo.
Una mattina, all'alba, per le strade della città antica risuonò potente e incessante la sirena dell'allarme. Uomini e donne si precipitarono per strada, non più abituati a sentire il sibilo della sirena. I vecchi, nonostante gli acciacchi, furono i primi a riversarsi per strada. Prendevano con se solo un soprabito pesante e una fiasca d'acqua, incitando i giovani a fare come loro e con quel carico leggero si dirigevano verso gli ingressi che portavano sotto terra. Di questi ingressi ormai non è restato più niente a vista, infatti il mare li ha ricoperti tutti e molti sono crollati.

Il vecchio si fermò un attimo ad osservare il mare sotto di noi, quasi potesse vedere cose che noi non vedevamo. Il suo sguardo era fisso verso la chiesetta di Balai vicino.

- Immagino che gli ingressi si trovassero dove oggi si trovano le profonde fenditure nella roccia. - Disse mia moglie indicando le spaccature che mettono a rischio la tenuta della strada che costeggia Porto Torres.

- Si, laggiù c'era l'ingresso principale e da quassù avreste visto migliaia di persone che senza mai voltarsi si dirigevano a passo veloce nelle profondità della terra. Molti di loro non sapevano come comportarsi ma i più anziani gli davano l'esempio. Per i bambini era tutto più semplice. Per loro era quasi come un gioco. A scuola gli veniva insegnato che dovevano prendersi per mano e seguire gli adulti, in silenzio, e così facevano.

Poi c'erano gli altri, quelli che avevano dei compiti specifici da assolvere. C'era chi era incaricato di provvedere ai viveri per tutti; un piccolo gruppo di uomini e donne erano incaricati di ciò. Si diressero verso i camini in pietra disseminati per il paese e grazie a grossi cesti vi calarono dentro tutto il pane fresco, verdure, frutta e formaggi  che trovarono nei banconi dei negozi, quindi anche loro si misero in salvo. Questi camini in pietra oggi non esistono più, sono stati distrutti dal tempo che riduce in polvere le pietre come i ricordi.
E infine c'erano i sacerdoti. Anche loro avevano il loro bel da fare.
I più giovani si misero subito a disposizione dei più vecchi. Avevano bisogno della loro guida per compiere tutte le operazioni che avevano studiato sui testi sacri ma mai messe in pratica. Ognuno di loro aveva il suo compito, ma il più importante era il Grande Padre, colui che aveva la responsabilità di tutte le operazioni per il risveglio, colui che non poteva essere sostituito perchè ne nasceva solo uno ogni mille anni e il suo destino era segnato sin dalla nascita.

- Il grande padre? Risveglio? Ma di cosa sta parlando? - Dissi a voce bassa all'orecchio di mia moglie, un po spazientito...
- Shhh! - Mi rispose lei - lasciami ascoltare!

Era un vecchio dalle rughe profonde che solcavano la sua fronte ampia. La pelle scurita dalle tante stagioni passate lo faceva somigliare ad una mummia di quelle che si vedono nei musei. Ma la sua mente era sveglia, i suoi occhi attenti, lo spirito presente in ogni momento, la voce potente...
Era circondato dai suoi dieci allievi. Un giorno uno di loro, solo uno, avrebbe preso il suo posto. Fortunato e sfortunato allo stesso tempo, avrebbe visto gli anni scorrere a fiumi, i suoi amici sarebbero invecchiati e morti, con loro sarebbero scomparsi i suoi affetti più cari...

Le operazioni si susseguivano senza sosta, la voce cantilenante del Grande Padre risuonava per tutto il paese diffondendo quel senso di sicurezza che tanti secoli di storia assicuravano. Il rumore di antichi ingranaggi rimessi in movimento dopo tanti anni risuonava nell'aria e la polvere del tempo si sollevava dalle colline e si diffondeva nell'aria ricoprendo i tetti delle case di un sottile strato lucente.
In lontananza si intravvedevano le sagome di navi da battaglia. Alcune solcavano il mare, le più grandi, altre volavano nell'aria, leggere.
Il Grande Padre sapeva di non avere più molto tempo ma non poteva far altro che ripetere quelle operazioni che aveva imparato tanti anni prima e che aveva già messo in atto diverse volte in passato. Non avrebbe modificato una sola operazione, non avrebbe cambiato una sola parola del suo cantilenante ritmo.

Il difensore intanto si risvegliava. 
La testa affusolata era già emersa dalla polvere, le sue spalle possenti la sostenevano, centinaia di metri al di sopra dei tetti delle case più alte. La polvere continuava a cadere sui tetti dando l'idea di un paese abbandonato da tempo. 

Poi, il Grande Vecchio si fermò! Smise per una attimo di cantare, solo per un attimo, per poi riprendere con una nenia del tutto differente. Mentre prima doveva risvegliare il difensore, ora doveva guidarlo in battaglia, contro il nemico che era sempre più vicino. Il ritmo si fece più incalzante, la voce più profonda e potente che mai. Suoni minacciosi come rombi di tuono riempivano l'aria. Lampi di fuoco colpivano la terra e il mare circostante, senza però nuocere gli uomini che oramai, compiuto il loro dovere, erano riparati nei rifugi. Solo il Grande Padre, con i suoi dieci giovani aiutanti, proseguiva nel suo lavoro, mettendo a rischio la propria vita per la salvezza di tutti gli altri. 

Il vecchio continuava il suo racconto. 
La voce roca e profonda aveva un effetto quasi soporifero su di noi eppure le parole risuonavano chiare nella nostra mente. In lontananza la sagoma dell'isola dell'Asinara sembrava prendere vita e rizzarsi su zampe possenti a difesa del porto e della cittadina di Porto Torres.
Io e mia moglie sembravamo in trance...

Poi si udì un boato spaventoso. Una colonna di fuoco e polvere si sollevò proprio di fronte al paese, dove oggi c'è il porto. In lontananza un rombo di tuono, continuo, si avvicinava minaccioso, portando con se il terrore della forza della natura violenta. Il mare si riversò sul paese, lungo le strade, dentro i camini di pietra, fin nelle viscere della terra. 
Il Grande Padre e il difensore sembravano inermi di fronte all'ondata distruttiva. Il nemico era stato colpito anch'esso. Le grandi navi in balia delle onde vennero rovesciate. I vascelli volanti, sorpresi alle spalle dall'onda gigantesca non fecero in tempo a sollevarsi e furono travolti.
Fu un giorno terribile...

Mentre pronunciava queste parole, il vecchio piangeva, come se, ancora una volta, rivivesse quei terribili istanti.

Poi il difensore, sentendo il pianto del Grande Padre per la distruzione che lo circondava, prese l'iniziativa. Ritto sulle sue enormi zampe si frappose tra il paese ed il mare, trattenendo quell'enorme onda, impedendo che raggiungesse l'ingresso principale dei sotterranei.
Il difensore si distese di fronte al paese formando una enorme catena montuosa che col tempo e con il crescere delle acque si trasformò in un'isola, l'isola dell'Asinara. 
Quelle che oggi vedete, confuse nella foschia, non solo altro che le ossa di un vecchio difensore, sacrificatosi per il paese... le ossa del drago!

Alzammo gli occhi di fronte a noi. 
Le gobbe dell'isola sembravano ciò che restava di un gigantesco drago, ormai a riposo.
Ci girammo intorno ma il vecchio, così com'era arrivato, silenziosamente era sparito, lasciandoci nel cuore il senso di tristezza e solitudine di una giornata umida e ventosa...

Alessandro Rugolo e Giusy Schirru

domenica 27 marzo 2016

Pitchfork

Chi sono io?

Quando mi guardo allo specchio vedo solo l'immagine sbiadita di me stessa, come l'ombra di una donna in una notte di luna piena o un fantasma in un maniero medievale.
Eppure, mi dico, sono sempre io, o ciò che resta di me.

Cosa ho fatto?

Ripenso agli anni passati e ancora non capisco, non riesco a comprendere in cosa ho sbagliato. Ombre nere ricoprono il mio viso e lo nascondono alla vista del mondo.

Sarebbe potuto essere tutto diverso, ma evidentemente questo è il mio destino. Portare nel mio cuore un simile peso fino alla morte.

Ricordo ogni istante le immagini dei corpi straziati, il sangue rosso scuro colare lungo i corpi, l'odore forte del sangue rappreso mi torna prepotentemente alla mente. Non riesco a non pensarci. E' quasi una tortura. Non passa istante che io non ricordi quei volti, contorti dalla sofferenza, urlanti di dolore. 
Poi un velo nero si posa sui miei occhi e non vedo più niente, forse svengo anche io, forse il mio cervello si rifiuta di continuare a vedere, a sentire...

Ogni volta mi risveglio in un posto differente. 
La prima volta mi svegliai nella cantina della nonna. L'odore nauseabondo mi colpì come uno schiaffo sul viso. Avevo le mani appiccicose, quasi nere. Ai miei piedi una pozza di sangue rappreso. Mio nonno mi prese in braccio senza dire una sola parola e mi portò in cucina. La nonna aveva preparato una tinozza di acqua calda e, dopo avermi spogliato e gettati via i vestiti, mi ci immerse completamente. 
L'acqua era calda e l'odore del sapone mi destò del tutto.

"Pichfork, pichfork"
urlavano gli altri bambini, girandomi attorno.
"Pichfork, pichfork"
mi schernivano ogni giorno. Poi decisi di non andare più a scuola. Non mi volevano e io non volevo loro. 
I nonni non l'avevano presa bene. Quelle poche ore in cui io stavo a scuola a loro servivano per ritemprarsi. Avevano una certa età e dovevano prendersi cura di me. Certo, mi volevano bene, ma comunque erano anziani, molto anziani, e di li a poco se ne andarono anche loro, come avevano fatto il papà e la mamma...

Avevo dodici anni, credo, e la vita divenne dura. Non era facile vivere da soli ma ci feci presto l'abitudine.

A tredici anni tornai a scuola.
Avevo sempre studiato per conto mio per cui la cosa non mi pesò per niente. Volevo riprovare, volevo vedere se gli altri avevano dimenticato. Speravo che il mio destino potesse cambiare, ma mi sbagliavo.
Passò solo qualche giorno, prima che qualcuno si ricordasse del mio soprannome. "Pichfork, pichfork", li sentivo dire tra loro sorridendo, mentre gli passavo vicino, quando entravo in classe, quando mi chiamava la maestra. Sempre la stessa storia.

Dovevano farla finita!

Un giorno persi la pazienza e cominciai a urlare. Poi mi misi le mani sulle orecchie e scappai fuori dalla classe. Non tornai mai più.

La casa dei nonni era poco fuori dal paese e io continuavo a viverci da sola.
Ero in grado di cucinare, accudivo il bestiame, raccoglievo le uova. L'orto mi dava ciò che serviva per vivere e il prete del paese mi mandava spesso la sua perpetua per aiutarmi.
Ero isolata dal paese ma allo stesso tempo ne ero parte integrante.

Domani compirò diciotto anni.
Mi preparo per l'evento con perizia maniacale.
Tutto deve essere perfetto. Non ho più parenti, non ho amici. Il parroco ha smesso da qualche anno di mandarmi la sua perpetua. Quella donna è sparita da tempo e nessuno sa che fine abbia fatto. Ma io ormai sono grande e non ho più alcun bisogno di essere aiutata. Ora so chi sono e cosa devo fare.
Domani è la mia festa. Meglio andare a dormire presto, domani sarà una lunga giornata.

Mi alzo presto la mattina, mi vesto con il vestito migliore che possiedo. Sui capelli metto una rosa rossa, nata nell'orto. Una spina mi graffia la fronte ed una goccia di sangue cola sul viso, lungo la guancia, fino al collo.
Prendo il forcone dal granaio e lo stringo tra le mani.

Il paese è a pochi minuti dalla casa. 
E' ancora presto e non incontro nessuno per strada. 
Mi fermo alla prima casa e busso alla porta. 
"Chi è a quest'ora del mattino?"
Urla una voce per niente gentile dall'interno. Riconosco la voce, è la maestra. Non mi ha mai difeso quando gli altri mi chiamavano Pichfork. 
Si apre la porta e me la ritrovo davanti. E' un po ingrassata ma non fatico a riconoscerla...
"Pichfork, sei tu? Cosa..."

Non le lascio il tempo di finire la frase, le infilo il forcone nelle budella, dal basso verso l'alto, e spingo con tutte le forze... fiotti di sangue mi colano sulle mani. Lei non parla più. 
Uno sguardo stupito si trasforma in smorfia di dolore. Solo pochi secondi di agonia e poi si accascia a terra. Devo aver raggiunto il cuore, penso... devo fare più attenzione la prossima volta.

Pochi passi mi separano dalla seconda casa. E' la casa del prete. 
Non busso, passo dal retro, come ho fatto tante volte. So dove si trova la chiave. La prendo ed entro, in punta di piedi. Il sangue comincia a rapprendersi sulle mani e sul vestito ma non ci faccio caso.
Entro nella sua stanza. E' ancora a letto. Mi avvicino in silenzio e lo bacio sulle labbra. Lui si sveglia e mi guarda compiaciuto, chissà cosa pensava... sollevo il forcone e glielo infilo nel collo. Non una sillaba... un fiotto di sangue nero gli esce dalla bocca e mi sporca il vestito nuovo.
Lo lascio li, agonizzante, con le mani al collo e una smorfia di orrore sul viso... non merita neppure un ultimo sguardo.

La giornata è ancora lunga e ho tanto da fare, non posso certo perdere troppo tempo se voglio fare pulizia...

Da allora molti anni sono passati eppure non ho mai dimenticato. Dopo quel diciottesimo compleanno sono sempre stata rinchiusa.
All'ospedale mi hanno riempito di medicine. I primi anni mi tenevano legata al letto. Poi, col tempo, hanno capito che non ero più pericolosa degli altri e mi facevano uscire a prendere aria nel giardino.
Ora i tempi sono cambiati e mi dicono che sono guarita e posso andare via. Posso tornare a casa. Come se ce l'avessi una casa. 

Domani è il grande giorno. Sarò libera.
Esco per l'ultima volta in giardino a vedere le rose. Ne taglio una, rossa come il sangue. Senza badarci me la infilo tra i capelli. Una spina mi graffia leggermente ed una goccia di sangue cola lungo la guancia.
Mi giro per rientrare e, poggiato al muro, vedo un forcone, forse dimenticato dal giardiniere...

"Dottore, è sicuro che io sia guarita?"
Le parole mi escono dalla bocca con sicurezza. Il dottore si gira e mi guarda con un sorriso... 
Il forcone penetra sotto il mento e fiotti di sangue ricoprono ancora una volta le mie mani...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO


domenica 28 settembre 2014

Racconti Borgeani e altro... il mio nuovo libro.

Cari amici lettori, ben ritrovati.
Con questo mio nuovo libro di racconti brevi voglio festeggiare la mia scoperta di un grande scrittore: Jorges Luis Borges (1899-1986).
Argentino di nascita, fu scrittore, poeta, saggista, traduttore, docente universitario e direttore della Biblioteca Nazionale di Buenos Aires.
Lo spunto mi è giunto dalla lettura di un fumetto, un numero di Martin Mystere in cui la storia era incentrata proprio sul nostro Borges.
Così dopo una breve ricerca nella biblioteca ho iniziato la lettura di Finzioni nella edizione Einaudi del 1978.
Vi chiederete cosa penso del libro e perché ve ne parlo.
Vi rispondo che non lo so!
E' la prima volta che mi imbatto in storie simili e dire che di libri ne ho letti tanti e di tutti i generi!
Eppure, in questi racconti c'è qualcosa di strano.
Il tempo, lo spazio, gli intrecci delle storie, sono particolari, difficili da seguire. Ogni racconto sembra scritto tenendo a riferimento l'idea del labirinto, della stanza degli specchi, del tempo avvolto su se stesso. Il risultato è che i racconti in alcuni tratti non sembrano dei racconti, in altri punti appaiono invece troppo fantasiosi.
In attesa di capire se il libro mi è piaciuto, sono andato avanti con la lettura di altri suoi libri, tra cui una collezione di racconti brevi dal titolo “Il manoscritto di Brodie”. Undici racconti brevi, parte ambientati nella Buenos Aires di inizio novecento, parte invece derivanti dalle innumerevoli conoscenze letterarie di Borges.
Tra i racconti posso dire che il primo, l'intrusa, e l'ultimo, il manoscritto di Brodie, sono i più interessanti anche se completamente differenti come genere. Il manoscritto di Brodie in particolare sembra rifarsi a tradizioni antiche di cui possono ritrovarsi tracce nel saggio di Frazer, il ramo d'oro. Eppure anche gli altri meritano di essere letti con attenzione sia per la costruzione, sia per le idee di fondo, non comuni tra gli autori di racconti. Ma i racconti che troverete in questo libro prendono ispirazione da un altro testo, un saggio breve dal titolo “Manuale di zoologia fantastica” scritto da Borges e da Margarita Guerrero. Nel saggio ho trovato nomi di animali fantastici e le loro brevi descrizioni. A questi “mostri” del passato mi sono ispirato per quasi tutti i racconti che leggerete.
Alcune volte dal libro ho preso solo il nome, in altri casi anche alcune caratteristiche peculiari dei mostri descritti, in alcuni casi, forse, nient'altro che l'ispirazione. Una parte dei racconti infine è stata selezionata tra quelli che hanno avuto più lettori sul mio blog in internet.
Mi chiedo se ne è valsa la pena scrivere questo quinto libro.
E' meglio che a giudicare siate voi ma, vi prego, non siate troppo cattivi.

Buona lettura.

Anteprima disponibile al seguente LINK da cui è anche possibile ordinarlo, per chi ancora ama la carta!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

mercoledì 14 maggio 2014

Scarafaggi

Questa è una storia diversa dalle solite.
Non inizia con "C'era una volta..." e non finisce con il matrimonio tra un principe ed una principessa stregata.
E' una storia diversa perché è una storia vera, anche se già so che nessuno di voi, dopo averla letta, lo crederà possibile.
Ma ormai non ho più niente da perdere, perché dunque non raccontare tutta la verità?
 
Tutto cominciò un maledetto giorno che mi farebbe piacere poter cancellare, peccato che ciò non sia possibile!
Quella notte non avevo dormito bene.
La sera prima avevo mangiato troppo e forse la digestione difficile era stata la causa dell'insonnia prima e degli incubi poi.
Mi ero svegliato diverse volte nel cuore della notte, sudato e tremante, urlando.
Ricordavo un'ombra nera che mi inseguiva.
Io correvo in un bosco di antiche querce che aveva qualcosa di sinistro. Mentre scappavo mi trovavo di colpo immerso in una pozza di fango e foglie. Ma il fango era rosso e appiccicoso, come il sangue.

Mi sembrava di sentire ancora l'odore delle foglie in decomposizione misto al sangue rappreso. L'odore della morte.
In mezzo al fango galleggiavano teste di animali morti.
Insetti e enormi scarafaggi mi circondavano e poi si arrampicavano sul mio corpo fino a che non mi svegliavo urlando.
Scarafaggi giganti e mostruosi, sporchi di sangue... non riuscivo a togliermeli dalla mente.
 
Era stata una notte difficile.
 
La mattina mi alzai alla solita ora, mi infilai nella doccia per cercare di svegliarmi. L'acqua tiepida sulla pelle era piacevole e ricordo che pensai che sarebbe stata una bella giornata, nonostante gli incubi.
 
Uscii di casa per recarmi in ufficio, come tutte le mattine. Lungo la strada mi fermai a fare colazione al solito posto. Al bar ordinai un caffè bollente al banco.
Mentre sorseggiavo il caffè due ragazzi si sedettero vicino a me. Ordinarono due caffè e cominciarono a parlare in rumeno. Parlavano liberamente, non pensano che qualcuno potesse capirli. Io però capivo tutto, eredità di mia madre!
 
Parlavano in fretta e a voce bassa. Parlavano di qualcosa di urgente da fare. Non potevano mancare all'appuntamento. Dovevano prendere un pacco e consegnarlo ad una certa ora. Il più giovane era agitato, sembrava su di giri.
- ...e poi Buum! Erano state le sue ultime parole.
 
Mi alzai indifferente e pagato il caffè mi allontanai. I due avevano cattive intenzioni.
Forse dovrei andare alla polizia, pensai. Guardai l'orologio, era tardi. A qualunque cosa si riferissero non erano certo problemi miei. Ne avevo già abbastanza per mio conto. Che facciano quello che vogliono e vadano al diavolo. Non ho tempo per loro.
 
Arrivai in banca nel giro di pochi minuti. Il mio capo era all'ingresso e appena arrivato mi chiamò in disparte.
 
- Oggi abbiamo un cliente speciale Jonny, vorrei che te ne occupassi tu. Mi disse sorridendo. - Si tratta di un attore famoso che ha deciso di aprire un conto da noi. Mi raccomando, è un cliente importante e deve essere tutto perfetto.
 
- Naturalmente, grazie per la fiducia signore. La giornata si metteva bene! Pensai. Un nuovo cliente al mio portafoglio. Non capitava tutti i giorni.
 
Alle 14.00 arrivò il mio cliente speciale. Fu servito e riverito come si fa in questi casi e tutto andò per il meglio. Il capo era soddisfatto e io anche di più. La giornata si era decisamente messa bene nonostante l'inizio.
 
Ancora un'ora e la banca avrebbe chiuso. Non vedevo l'ora di tornare a casa.
 
Strinsi la mano al mio facoltoso cliente e lo invitai a venirci a trovare spesso. La sua mano era fredda, gelata. Non so per quale motivo pensai alla morte. La sua morte. La sua mano...
Di colpo l'incubo mi tornò in mente, più vivido che mai! Era come se mi trovassi immerso nel sonno, le foglie, gli insetti, il sangue appiccicoso... cercai di scuotermi, non era vero, era solo un incubo!
 
In quel momento due ragazzi entrarono in banca. Mi sembrava di conoscerli. Erano vestiti diversamente ma non avevo dubbi, si trattava dei due giovani rumeni incontrati al bar la mattina.
Uno di loro, il più giovane, poggiò la borsa che aveva sulle spalle in terra, estrasse una pistola da sotto il giubbotto e cominciò ad urlare frasi sconnesse.
 
I clienti della banca si erano buttati a terra e io ero li, bloccato, dall'odore delle foglie e del sangue che come nell'incubo sembrava ricoprire tutto e tutti.
Ci fu un'esplosione... buum! Aveva detto la mattina. Ma non erano problemi miei, come potevo sapere... come potevo immaginare...
 
Un'ombra nera sembrò calare su di me. Vedevo sangue dappertutto e poi svenni.
 
Da allora sono passati due mesi, io ora occupo stabilmente il letto numero 6 della clinica. Stabilmente... e si!
Nell'esplosione avevo perso le braccia, le gambe, l'udito e un occhio, però me l'ero cavata.
Dovevo ringraziare Dio, mi dicevano i medici. Al mio cliente speciale non era andata altrettanto bene. Era morto sul colpo e brandelli del suo corpo erano sparsi per tutta la banca. Sembrava il set di un film dell'orrore, mi dissero.
 
I due giovani erano morti anche loro. Avevano lasciato un video messaggio in cui annunciavano al mondo la nascita di una nuova organizzazione terroristica, il loro simbolo era un animale, uno scarafaggio insanguinato. Uno scarafaggio...
 
Forse, quella mattina sarei dovuto andare alla polizia, ma ormai era tardi per recriminare potevo solo continuare a pensare e sognare. Ogni notte un nuovo incubo tornava a trovarmi, ma quello si, non era un problema mio... oramai!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO