venerdì 25 aprile 2008

Il vecchio asilo

Quando ero piccolo vivevo in un paese di montagna, faceva freddo tutto l'anno, soffiava un vento terribile, e a metà agosto già cominciava a nevicare.
Mio padre lavorava ancora nei carabinieri, ora è in pensione e la sua occupazione preferita sembra sia leggere storie di terrore e di fantasmi.
Fantasmi...chissà se esistono veramente!
Una volta al mese circa, tutta la famiglia saliva sulla nostra Ferrari rossa fiammante, una Fiat 128 che, come tutte le macchine di allora, dava affidamento solo quando la si spegneva.
Lentamente , ci apprestavamo a trascorrere un fine settimana diverso dal solito, la nostra meta era la casa della nonna, che adesso, nonostante l'età, non è meno arzilla di allora.
Ciò che più ci piaceva era sentire le storie che mio padre ci raccontava per farci stare buoni, e vi garantisco che ci riusciva senza nessun problema.
Ci teneva incollati al sedile della nostra 128 come se i mostri e i fantasmi di cui ci parlava fossero di fianco a noi pronti a saltarci addosso ad ogni nostro minimo movimento.
Mi ricorderò sempre che mentre mio padre parlava potevamo sentire il nostro battito che, sempre più forte, sembrava coprisse le parole; solo mio fratello Roberto ogni tanto fiatava, ma solo per soffiarsi il naso perennemente raffreddato.
La storia che sto per raccontarvi era, a detta di mio padre "una delle più raccapriccianti che essere umano avesse mai udito", non che allora capissi bene il significato di tutte le parole che mio padre utilizzava, ma avevo appena cinque anni e, nonostante fossi abbastanza in gamba per la mia età, o almeno così pensavo allora, ancora ero piccolo e me ne rendevo conto quando, stando in piedi affianco a mio padre non raggiungevo neanche la cintura dei suoi pantaloni.
Quella volta mio padre cominciò così:
"Vi ricordate quel vecchio edificio di fronte al campo di pallacanestro? Ebbene, quello un tempo era un asilo, mi ricordo che venne chiuso nel 1972, dopo la morte di una delle suore ed altri fatti molto raccapriccianti accaduti in quel periodo."

Quella volta ci fermammo alla fontana perché mia madre voleva che prendessimo dell'acqua da portare a mia nonna, non per capriccio ma perché nel suo paese, che poi è anche il mio, veniva distribuita solo una volta ogni tre giorni. Così, per qualche istante, l'atmosfera tesa che si era creata all'interno della macchina si sciolse come neve al sole e già, io e i miei fratelli cominciavamo ad agitarci e a giocare rincorrendoci intorno alla fontana; tutto ciò durò solo il tempo di riempire la solita lattina da venti litri, poi come per incanto, ci ritrovammo tutti in macchina ed il terrore tornava ad impossessarsi di noi.
"Vi stavo dicendo...", proseguì mio padre come se non ci fossimo mai fermati, "...che l'asilo venne chiuso nel 1972. In un primo tempo il parroco del paese, se non sbaglio allora c'era ancora don Francesco, e tutta la popolazione si erano opposti alla chiusura dell'asilo ma poi in seguito agli avvenimenti che si verificarono durante l'indagine per la morte della povera suor Giuditta, nessuno ebbe più niente in contrario a che le porte di quella vecchia casa venissero murate, come pure le finestre, e che il cancelletto di legno che portava al vecchio campo di pallacanestro e che fungeva da accesso anche all'asilo fosse sostituito da un pesante cancello in ferro che, anche senza il cartello che vi era appeso fuori, incuteva timore.
Il cartello era grande, bianco con una scritta rosso sangue che diceva:
CASA PERICOLANTE, PERICOLO DI MORTE.
Così decisero di scrivere le autorità che si occuparono di questo caso e cioè il sindaco, il brigadiere dei carabinieri ed il vecchio bibliotecario del paese.
Prima della sua chiusura l'asilo era abitato da tre suore, suor Giuditta, suor Maria e suor Anna. Suor Giuditta era la più anziana, doveva avere circa sessanta anni ma quando fu trovata morta ne dimostrava almeno il doppio tanto la pelle era secca e rattrappita. Nelle sue vene non fu trovato neanche una goccia di sangue, come se qualcuno se ne fosse nutrito, ma sul corpo non presentava nessun genere di ferita, niente di niente.
Era una bella mattina di primavera, se non mi sbaglio il calendario segnava il 15 maggio, certe date non si dimenticano facilmente..."
In quel momento noi tutti provammo un brivido di terrore perché mio padre fece una brusca frenata a causa di un cane che attraverso la strada. Ci sembrò che il cane fosse il fantasma della vecchia Giuditta venuto sulla terra per vendicarsi di noi che col nostro racconto avevamo disturbato il suo sonno eterno. Ciò che ci riportò alla realtà fu lo strombazzare dei clacson delle macchine che ci seguivano.
Io ho sempre ammirato mio padre, soprattutto in quel momento che, come se niente fosse, innestò la prima e ripartì.
L'aria divenne nuovamente pesante e il freddo pungente di quel mattino di gennaio unito alla paura, avevano l'effetto di una purga su di noi; la voce calda e pacata, ma nello stesso tempo cavernosa, di mio padre continuava il suo racconto.
"L'allarme fu dato da suor Anna che mentre si accingeva ad aprire il cancello che dava sulla strada vide suor Giuditta riversa in terra, con la faccia sull'erba umida del mattino e con la sua lunga veste tirata su fino a scoprirle i polpacci grossi, coperti dalle bianche calze di cotone pesante.
A quel macabro spettacolo suor Anna cominciò ad urlare e poi scappò di corsa dentro, per la paura dimenticò di aprire il cancelletto di legno.
In quel momento passava per la strada il brigadiere dei carabinieri che come tutte le mattine, con la sua divisa stirata di fresco e con il suo solito sorriso sgargiante, si recava in caserma. Dovevano essere circa le 07.45 ed ancora il sole non aveva riscaldato quelle poche case che formavano il paese di Chiodi.
Quando sentì le urla di suor Anna il suo sorriso a " ventiquattro carati ", come lo chiamavano gli amici si trasformò in quella seria espressione che gli si leggeva in volto ogni volta che, durante il suo lavoro, gli capitava di aver a che fare con qualcosa di raccapricciante ma, fino a quel momento, di perfettamente logico e razionale. Si precipitò verso il cancelletto in legno e non gli ci volle molto ad aprirlo nonostante vi fosse un fermo ad uncino che lo bloccava dall'interno. Non appena aperto, vide il corpo della povera suor Giuditta e subito si accostò ad esso con la calma di chi ha già visto la morte tante volte."
Forse voi non potete capire quale effetto potessero avere queste parole su di noi, piccoli pargoletti, che al solo pensare al buio ce la facevamo sotto, ma la voce di mio padre non cambiava mai inflessione, come la voce di chi ha, più di una volta visto scorrere via la vita dalle membra di un corpo ferito a morte. Fu proprio in quel momento che Bruno, il terzo di noi, che allora aveva circa due anni e mezzo, urlò: "Mamma, pipì !"

Poco ci mancava che io e mio fratello Roberto ci restassimo secchi dalla paura e se non ce la facemmo sotto fu solo perché quella non era la prima volta che mio padre ci raccontava storie di questo tipo.
La sosta fu breve, qualche minuto soltanto, ma servì a tutti, l'aria fresca ci svegliò e distolse i nostri pensieri dal ricordo della suora morta. Mia madre ne approfittò per prepararci qualcosa da mangiare, prese dal portabagagli una grande borsa di vimini in cui vi era del pane, del formaggio e qualche pera fresca. "A pancia piena si viaggia meglio", é il motto di famiglia!
Il viaggio riprese e puntuale come la morte riprese anche il racconto di mio padre.
"Il brigadiere si accostò al corpo di suor Giuditta, si rese subito conto che vi era qualcosa di strano in quel cadavere, era secco, non caldo come se una persona fosse appena morta, ne freddo come quando il sangue ha smesso di circolare da molte ore. Secco come quello di una vecchia mummia o di una falena morta, come quelle che si trovano su di un vecchio mobile che non si spolvera da anni.
In queste condizioni venne ritrovata suor Giuditta.
Il brigadiere era chino sul cadavere lo stava rivoltando quando, dalla porta del vecchio asilo, spuntò fuori timidamente la testa di suor Maria che avendo ascoltato il racconto di suor Anna ed essendo più coraggiosa la precedeva per verificare l'accaduto.
Vi lascio immaginare la scena: un piccolo cortile in cui si trova un cadavere vecchio di cent'anni o almeno così si sarebbe detto, un brigadiere curvo su di esso e sullo sfondo una porticina dalla quale stanno uscendo due suore spaventate a morte. Vedere il brigadiere, o meglio una sagoma nera china sul cadavere di suor Giuditta fu, per la coraggiosa suor Maria, un colpo tremendo, stramazzò a terra svenuta e ci vollero venti minuti e tutti i sali a disposizione per farla rinvenire.
Frattanto era stato chiamato il medico, un tipino alto, magro, sempre vestito di scuro e che pareva avesse paura anche della sua stessa ombra e per di più aveva una voce che pareva fosse lui il malato; comunque in quella occasione si dimostrò forte e non svenne, ma forse solo perché aveva in mano i sali per far rinvenire suor Maria.
Dopo aver superato il trauma iniziale, suor Anna, fu la più forte di tutti i presenti infatti fu proprio lei che si prese la briga di vegliare di continuo il corpo della povera morta, in compagnia di un giovane carabiniere che, poveretto, alla vista del cadavere divenne più bianco del colletto della sua camicia.
La notizia della morte della povera suor Giuditta si diffuse velocemente per il paese e quella mattina i bambini non vennero portati all'asilo e lo stesso accadde nei due giorni successivi.
Le indagini condotte dal brigadiere procedevano senza esito nonostante l'impegno di tutti, vennero interrogati tutti coloro che per un qualunque motivo avevano visto suor Giuditta nei giorni precedenti la sua morte, ma non si scoprì nulla. Suor Anna disse che ultimamente suor Giuditta si comportava in maniera strana, sembrava impaurita, parlava poco, ma soprattutto nei due giorni precedenti la sua morte, verso le dieci della sera si metteva al centro del cortile e, dopo aver fatto un giro lungo il perimetro, recitava alcune frasi lette da un misterioso libriccino con la copertina rossa che teneva gelosamente nascosto. La prima volta che si comportò in modo così strano risaliva a due giorni prima della sua morte; in quella occasione fu notata da suor Anna che, incuriositasi avvicinò a lei mentre recitava delle frasi incomprensibili. Mentre le si avvicinò si rese conto che non sembrava normale, infatti aveva gli occhi particolarmente brillanti, leggermente arrossati e non si era resa conto della sua presenza, sembrava trovarsi in uno stato di semi incoscienza. Li per li però non ci aveva fatto troppo caso, aveva pensato che stesse pregando e si ripromise di chiedere spiegazioni il giorno successivo, cosa che fece puntualmente.
Quando la mattina dopo chiese se stesse bene e raccontò ciò che era successo la sera prima, suor Giuditta si comportò stranamente e invece di dare spiegazioni si adirò e la rimproverò, le disse che la curiosità e il diavolo erano la stessa cosa e che era dovere delle più giovani non mettere il naso in ciò che non potevano capire perché Lui non voleva. Suor Anna se ne andò umiliata e da quel momento passarono tre giorni prima del sinistro ritrovamento.
Nei tre giorni che seguirono la morte di suor Giuditta l'asilo rimase chiuso e le suore dormirono presso la casa parrocchiale, poi l'asilo venne riaperto.
Andrea era il più grande dei bambini che frequentavano l'asilo, aveva appena compiuto cinque anni ma dimostrava di essere molto più maturo degli altri bambini della sua età, non lo si poteva definire un genio ma già si poteva dire che sarebbe diventato qualcuno se fosse sopravvissuto a quei giorni.
Nei giorni che seguirono le indagini accadde qualcosa di strano, cominciò ad impallidire ed ogni tanto diceva qualche parola senza senso apparente ma nessuno ci fece troppo caso.
Se avessero capito ciò che stava accadendo, gli altri bambini, avrebbero raccontato che da qualche giorno a questa parte Andrea, verso le dieci del mattino quando tutti si trovavano fuori per giocare, faceva un giro completo del cortile, quindi si metteva al centro e traeva dalla tasca un libriccino rosso che prima sfogliava tranquillamente, quasi senza comprendere cosa facesse, poi leggeva alcune frasi apparentemente senza senso e quindi riponeva gelosamente il libriccino nella tasca del suo grembiule. Avrebbero potuto dire anche che durante tutto questo cerimoniale i suoi occhi erano leggermente arrossati.
La mamma cominciò a preoccuparsi quando, un giorno, Andrea prese la Bibbia che si trovava abitualmente sul tavolino della televisione e cominciò a recitarne alcuni versi. Che fosse un bimbo intelligente era risaputo ma da li a leggere ed essere in grado di spiegare la Bibbia c'è una bella differenza.
La madre per poco non ci restò secca quando due giorni dopo aver scoperto che Andrea sapeva leggere, si presentò a casa sua il brigadiere dei carabinieri con una faccia scura che non preannunciava niente di buono.
Il piccolo Andrea fu trovato morto quella mattina, verso le dieci e mezza, nella stessa posizione della suora e come se non bastasse ridotto anch'egli come una orrenda mummia.
Le indagini vennero intensificate, non si trascurò nessuna pista, vennero interrogati gli abitanti di mezzo paese ma senza scoprire nessun elemento utile.
Non volendo rischiare che potessero ripetersi nuovi casi decisero di chiudere l'asilo fino a quando non sarebbe emerso qualcosa.
Poi un giorno, qualche mese dopo i fatti che vi ho narrati, mentre il bibliotecario compiva delle ricerche negli archivi della chiesa, scoprì dei documenti antichi, tra questi vi era una vecchia carta della zona che attirò subito la sua attenzione perché riportava l'esistenza, in tempi passati, di un cimitero che si trovava esattamente dove adesso sorge l'edificio che ospitava l'asilo. Dai documenti rinvenuti sempre presso l'archivio si scoprì che il cimitero venne sconsacrato quando ci si accorse che una donna ritenuta essere una strega vi andò ad abitare e, così dice la leggenda, tutte le notti usciva da una tomba per prendere un essere umano e nutrirsi del suo sangue. La leggenda dice che il prete riuscì a mandare via la strega nascondendo un libriccino rosso, che si dice fosse una versione in lingua ebraica della Bibbia, vicino al luogo in cui viveva. La presenza di questa Bibbia impediva alla strega di uscire dalla sua tomba che poi col tempo venne coperta dalla terra.
Tutto ciò divenne leggenda e dopo tanti anni venne dimenticata fino a quando il caso volle che suor Giuditta, urtando con la zappa un orcio in terracotta mezzo disseppellito, ne trasse un libriccino rosso e incuriosita, ne lesse le prime parole, che tradotte nella nostra lingua suonano più o meno così:
Finché la sacra parola resterà nascosta
nei pressi della tomba del Male
il Demone che é stato qui
e che ora non é più,
resterà confinato nei più profondi
recessi della notte,
dove a nessun uomo é dato di mettere piede.
La forza della sacra parola
terrà il Male lontano da questa Terra.

Il libriccino proseguiva dicendo come fare per rendere innocua la strega se questa un giorno fosse tornata ad infestare la terra, diceva anche che chi ne fosse venuto in possesso, se di animo buono, avrebbe acquisito la sapienza e le capacità di chi l'aveva scritto così da poter capire che bisognava seppellirlo nuovamente dopo avere seguito un certo cerimoniale, quello seguito da suor Giuditta e da Andrea. Purtroppo per loro la strega era stata più veloce ed era riuscita ad ucciderli prima che il cerimoniale fosse portato a termine, bisognava infatti ripeterlo per tre giorni consecutivi perché avesse effetto.
La chiusura del cancello dell'asilo e l'aspersione con acqua santa del suo perimetro, compiuta dal sacerdote del paese per allontanare la presenza di eventuali forze del Male presenti nell'asilo ebbe come effetto quello di impedire alla strega di uscire nelle notti successive, ma questa barriera non sarebbe durata a lungo.
Fortunatamente per tutti il bibliotecario che già aveva contribuito alla soluzione del caso riuscì a trovare una copia di quella Bibbia che già una volta servì per bloccare la strega, questa evidentemente aveva gli stessi poteri dell'altra, perché il solo possederla gli diede quella sapienza e quelle conoscenze che occorrevano per far risprofondare quella creatura di Satana da dove era venuta."
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

L'uomo nero

“Dormi dormi bimbo bello …
dormi bimbo della mamma
che non viene l’uomo nero
dormi bene con la mamma …”

Mi rendevo conto che mentre cantavo mi si chiudevano gli occhi, era la stanchezza, non potevo farci niente …
Eppure non appena stavo zitta e cercavo di alzarmi ecco che Francesco si metteva a sedere sul letto e vedevo i suoi occhietti vispi e luccicanti nel buio della camera da letto.
“ Mamma, continua a cantare, mi piace come canti…”
Le parole mi uscivano di bocca con poca convinzione …
“Dormi dormi bel bambino,
fai da bravo piccolino
c’è la mamma qui con te
non temere mio bebè …”
Più cantavo e più il sonno s’impadroniva di me, un’ombra scura sembrava avvicinarsi …
“..tu non devi aver paura
dormi dormi bel bambino
c’è la mamma qui con te
che ti protegge dall’uomo nero …”
Uomo nero … ecco cosa sembrava quell’ombra, un Uomo Nero …
Un pensiero irrazionale m'invase il cervello e sentivo tutto il mio corpo tremare ed irrigidirsi … ero tutta bagnata di sudore freddo, un freddo mortale e terribile …
Non riuscivo a muovere un dito, cercavo con tutte le mie forze di combattere il terrore sordo che mi pervadeva ma non riuscivo a muovermi di un solo millimetro e più tentavo più m’irrigidivo.
Tremavo e sudavo, sudore freddo come la figura nera che ora mi appariva di fronte in tutta la sua possanza. Era una figura gigantesca e scura vestita di un lungo saio nero con un grande cappuccio e reggeva qualcosa in mano …
Non riuscivo ad aprire gli occhi … o forse erano troppo aperti, sbarrati dal terrore …
Non riuscivo a parlare, tutto il mio spirito urlava ma la voce mi mancava … non capivo cosa mi stava accadendo.
Il mio sguardo era attirato dalla sagoma nera che avevo di fronte … cercavo di mettere a fuoco l’immagine dell’uomo nero spinta dal desiderio irrazionale di capire cosa avesse in mano …
Un libro! Forse era un libro del quale non riuscivo a leggere il titolo …
Mi sentivo chiamare per nome da una voce lontana ma non potevo rispondere, il terrore era troppo …
“..Giusy … Giusy … Giusy …
andiamo, vieni a letto, Francesco si è addormentato, su … sveglia!”
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Phi

Venti anni di ricerche ... venti anni ... per cosa?
Chi potrebbe credere in quest’assurdità?
Io stesso stento a credere che non si tratti di un sogno, un incubo come quelli di quando ero bambino, allora sognavo streghe, mostri e lupi mannari e mi svegliavo tutto bagnato …
Ma ora?
Non mi posso svegliare dalla realtà!
O forse si, se quello che abbiamo scoperto fosse vero allora tutto potrebbe essere ... tutto!
Quando ero giovane scelsi di studiare astronomia, mi affascinavano le stelle, le galassie …
Ero attratto dall’immensamente grande, ed ora?
Tutto cominciò quando uno studente di biologia molecolare decise di partecipare ad una mia lezione di astrofisica, da allora è cambiato tutto!
Prima per gioco, poi sempre più realisticamente, sempre più freneticamente …
Fino a scoprire l’assurdo!
“Professore, sa che il sistema stellare che c’illustra assomiglia moltissimo alla struttura molecolare chiamata ...”
Una frase, buttata là senza crederci e per me inizia l’assurdo!
Assurdo … ma vero!
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Omega

Erano le 21.00 del 13 ottobre 1998 ed io avevo finito le mie sigarette così indossai l'impermeabile bianco, calzai il cappello e uscii in strada per recarmi al vicino magazzino di tabacchi che si trovava nei pressi della vecchia stazione ferroviaria, sapevo che non era saggio uscire da soli la notte ma non potevo fare altrimenti ed inoltre la voglia di fumare era troppa, ad ogni buon conto presi la pistola e la misi alla cintola.
Mi trovavo all'angolo tra via Roma e largo Carlo Felice, per strada le luci al neon, quelle poche che ancora funzionavano, disegnavano delle ombre mostruose intorno a quelli che un tempo erano dei semplici gatti, qualche pipistrello gigante si muoveva senza fatica tra le ombre della notte a caccia di qualche insetto. Degli altri animali non vi era traccia, probabilmente erano rintanati sotto qualche casa diroccata del castello.
Della popolazione di Cagliari non restavo che io, già da qualche mese non avevo più visto nessuno, tutti morti!
Era cominciato tutto nel 1994, se non ricordo male nel mese di novembre, quando la notizia di alcuni casi di colera che si erano verificati in India si diffuse in Europa. Ai telegiornali dicevano che non c'era niente di cui preoccuparsi, che era tutto sotto controllo e che comunque in Italia non avremo avuto problemi. Poi si ebbe qualche caso in Puglia e qualche giornale regionale riportò la notizia. Stranamente la stampa e la televisione nazionale ignoravano ciò che stava accadendo; adesso so che lo ignoravano volutamente, ora so che i casi di colera erano più numerosi di quanto avrei mai potuto immaginare, lo Stato aveva imposto il silenzio stampa sull'argomento ed aveva diffuso delle notizie false per evitare allarmismi e suicidi di massa.
Contemporaneamente gli scienziati di tutto il mondo erano stati allertati e i laboratori fervevano di lavoro.
Il 28 gennaio del 1995 non si poteva più nascondere ciò che stava accadendo. In tutto il mondo le vittime ammontavano a circa mezzo miliardo e l'ultimo censimento risaliva a quindici giorni prima.
Fu a questo punto che le televisioni di tutto il mondo diffusero un comunicato che mi sembra ancora assurdo quando ci ripenso.
La malattia che stava decimando la popolazione mondiale non era il colera bensì era causata da un virus costruito in laboratorio, nome in codice Joker, un gruppo di scienziati l'aveva creato per utilizzarlo come arma da guerra ma un incidente causato da un gatto, che involontariamente aveva rovesciato una fialetta, aveva diffuso l'epidemia. Il virus era ancora sconosciuto, non si sapeva come bloccarlo e non esistevano vaccini. Il comunicato terminava con le scuse da parte dei responsabili. Chiedevano scusa a Dio per la distruzione del mondo che Lui aveva creato.
Io non so per quale motivo sono ancora vivo ma penso che ciò non durerà a lungo. Il mio impermeabile si sta sporcando e tra poco dovrò buttarlo, non so come farò ad andare avanti, specialmente quando tutto il cibo in scatola sarà scaduto e avrò finito le sigarette.
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Festività...

“E' festa, Buon Natale!”
Urlano i bimbi per strada all'uscita di scuola, corrono a casa per le vacanze, fermandosi solo un attimo a salutare il compagno di banco...
Si sente la festa nell'aria, urla gioiose, canti di chiesa, profumi d'arrosto...
Negli angoli delle strade scoppiettano caldarroste saporite che i passanti si fermano a comperare, fa piacere tenerle tra le mani, attraverso i guanti si sente il tepore che emanano ancora e il profumo riempie l'aria circostante.
Le donne girano per i negozi per le ultime spese, i ritardatari si affrettano per l'acquisto degli ultimi regali.
Tante bancarelle lungo le strade, nella piazza del paese, vicino alla scuola, vendono bambole di pezza, fuochi d'artificio e caramelle per tutti i gusti e di tutti i colori.
Qualche fiocco di neve comincia a cadere, volteggiando nell'aria fredda mattutina posandosi in ogni dove, formando cumuli dalle forme strane, coprendo i rami spogli degli alberi e trasformando i cavi del telefono in strani salsicciotti bianchi...
Pupazzi di neve nascono in ogni angolo, lunghe carote per naso, grandi bottoni luccicanti sul petto e con in mano una ramazza vecchia, non più utilizzabile...
Aria di festa, le porte delle case sono agghindate con ghirlande natalizie, campanelle dorate, nei giardini alberi festanti, palline colorate hanno preso il posto delle foglie cadute in autunno, solo qualche raro abete è ancora verde.
Le edicole, stracolme di riviste, espongono i calendari per l'anno che viene, i bimbi accompagnati dai genitori comprano le figurine dei calciatori, “Papà, mi compri...”, è la frase più usata.
Nei grandi magazzini tanti Babbo Natale offrono dolci ai bambini e scattano fotografie, tutti sono allegri, sembra che non esista più alcun dispiacere...
Poi si cresce e gli occhi di un bambino diventano quelli di un adulto, capaci di vedere cose che prima non si vedevano...
Eppure in questo giorno di festa quegli occhi continuano a vedere venditori di caldarroste, bancarelle di caramelle, edicole colme di riviste, fiocchi di neve che cadono sui tetti volteggiando allegramente, bimbi che corrono per strada urlando la loro gioia,passanti frettolosi che portano sotto braccio regali appena acquistati...
Poi qualcuno mi tira la mano riportandomi alla realtà...
“Papà, mi compri le figurine?”
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Solo... un incubo!

Era una fredda giornata ... nuvole gonfie di pioggia si avvicinavano, sospinte da un freddo vento di tardo autunno...
Di tanto in tanto un pallido raggio di sole illuminava la piazza e i suoi mercatini. Povere bancarelle piene di oggetti vecchi e inutili!
Il freddo non mi aveva però impedito di uscire, così mi aggiravo solitario tra le bancarelle alla ricerca di un libro da leggere la sera, e con indosso il senso di tristezza che porta con sé una buia giornata autunnale.
Su quella bancarella non c’era niente di interessante, solo vecchiume e qualche falso, realizzato recentemente nel magazzino di qualche abitante del luogo... pensai, mentre osservavo i pezzi apparentemente più antichi per vedere se c’era qualcosa che valesse la pena di essere acquistato!
Poi un vecchio, poco distante, attirò la mia attenzione... aveva un carretto a mano... uno di quei carretti in legno che non mi capitava più di vedere da anni. Doveva essere appena arrivato perché non c'era nessuno attorno... nessun curioso che frugasse tra quegli oggetti...
Ottimo! Pensai...
Sono il primo cliente, chissà...
Una folata di tramontana mi congelò il viso... un brivido mi scosse la schiena... come a voler ricordare che ancora qualche giorno e sarebbe stato inverno, un inverno freddo sicuramente!
Sul carretto del vecchio c'erano oggetti di varia foggia, in equilibrio precario, l'uno sull'altro. Alcuni in legno, altri in ottone, la maggior parte in pietra nera e lucida...
I più bizzarri, erano appena sbozzati, e ricordavano la forma di quelle teste imbalsamate che mi era capitato di vedere in Africa. Ogni oggetto sembrava avere due facce...
Non badai molto al resto, tutte cianfrusaglie senza valore e di dubbio gusto. Mentre mi giravo per andar via mi accorsi della presenza di una ragazza, dietro il banco.
Era seduta su di un basso banchetto in legno, sulla sinistra del vecchio venditore.
Un secondo carretto, su cui erano esposti degli oggetti di scarso valore, l'aveva nascosta alla mia vista.
Tutto in lei sapeva di antico eppure doveva essere giovane...
Mi ritrovai a fissarla intensamente, senza volerlo. Mi colpì subito ma non saprei dire per quale motivo, era molto bella...
Lunghi capelli neri le coprivano il viso cadendo lungo le spalle, le mani sorreggevano la testa nascondendole il viso.
Mi spostai di qualche passo, inconsciamente.
Desideravo vederla in faccia...
Presi tra le mani un oggetto che poteva essere l’incisione del volto di un soldato, con l’elmetto in testa, mi accorsi che era veramente brutto e lo riposi.
Raccolsi poi un piccolo oggetto in pietra nera che attirò la mia attenzione.
Aveva una forma strana, come ogni oggetto su quella bancarella. Aveva le fattezze di un volto di donna, ma questo era particolare. Mi ricordava qualcosa... qualcuno che conoscevo ma non riuscivo a mettere a fuoco, come un ricordo lontano...
In quell'istante, la ragazza dai capelli neri si alzò, mi guardò fisso negli occhi e senza una parola si allontanò... seguita dal mio sguardo incantato. C'era qualcosa di irreale in quella sua camminata sinuosa, qualcosa di pericolosamente attraente. Non potei fare a meno di seguirla con gli occhi fin verso il centro della piazza che, un tempo, doveva essere stata una bellissima arena in pietra. Di colpo lei iniziò a correre...
“Aspetta...” gridai... “Aspettami...”
La voce che uscì dalle mie labbra mi sorprese. Era stato un riflesso involontario o realmente volevo fermarla, incontrarla, interrogarla e... stringerla tra le braccia?!?
La sua snella figura ondeggiava, sempre più veloce, in direzione di una apertura che si apriva seminascosta nella parete di pietra...
Non so per quale motivo la seguii, ma lo feci!
Arrivato agli scalini in pietra mi resi conto che stringevo ancora in mano quell'oggetto, lo poggiai.
In quel momento vidi nuovamente la ragazza... ora correva lungo il cerchio dell’arena, si voltò verso di me e... rideva! Mi fissava e rideva!
Era una risata stridula, che mi fece accapponare la pelle!
Udii degli altri rumori, indistinti, come in un incubo. Non riuscivo a capire dove fossi né cosa accadesse intorno a me!
Ruotai la testa nella direzione da cui provenivano quei rumori ma non vidi nessuno.
Mi voltai nuovamente, la ragazza si allontanava di corsa, lei e quella sua terribile risata.
Avevo freddo! Le mani congelate, la fronte mi pulsava...
Lanciai un urlo!
Non so perché, mi voltai e corsi in direzione opposta, lontano dalla ragazza, dalle bancarelle, dalla

"Ale... Ale... sveglia... mi hai spaventata... che succede?”

Mia moglie mi stringeva la mano destra...

“Niente amore, solo... un incubo...”

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Fantasmi

Si racconta che presso il vecchio ospedale pediatrico di Zetra... nelle notti di luna piena... i fantasmi dei bambini morti durante la guerra, facciano sentire le loro voci urlanti di dolore...
Chi si trova di servizio in queste notti di gelo, gira col terrore di incontrare i fantasmi dei morti di morte violenta.
Qualcuno afferma che un bambino insanguinato giri spesso per i corridoi piangendo e cercando la madre...
Io non avevo mai creduto a queste storie, per cui quando c'era da fare un servizio notturno, indossavo il mio bel giubbotto e, arma alla mano, prendevo servizio senza alcun timore.
Ricordo che quella notte era particolarmente fredda... alle due il termometro aveva toccato i diciassette gradi sotto lo zero. Una nebbia fine avvolgeva tutto ciò che mi circondava.
I miei baffi erano ricoperti da un leggero strato di ghiaccio che si formava a causa del mio stesso respiro.
Il giro di pattuglia, l'ultimo per la notte, prevedeva che arrivato all'altana tre tornassi indietro... poi avrei avuto il cambio, era ora!
Il freddo cominciava ad intorpidirmi le gambe e già da qualche minuto non sentivo più naso e orecchie... era come non fossero più mie, avrebbero potuto staccarmele senza che me ne accorgessi!
Arrivato all'altana tre stavo per girarmi... già pregustavo il caldo della stufa, quando in lontananza, nei pressi della recinzione, vidi un'ombra scura scivolare oltre il filo spinato.
Dopo un attimo di stupore intimai l'alt, non avevo paura ma il freddo mi faceva tremare le braccia... e anche la voce... pensai, perché l'ombra continuava ad avanzare.
Veniva verso di me, forse non aveva capito. Ripetei nuovamente l'alt, gridando con quanto fiato avevo in corpo.
Questa volta l'indesiderato ospite mi sentì perché si fermò proprio sotto il faro cosicché potei vederlo bene.
Sola allora mi resi conto che si doveva trattare di un bambino... alto circa un metro e venti, aveva i vestiti tutti stracciati e in più punti pareva fossero bruciati...
Il volto era strano, una grossa macchia scura gli ricopriva il lato destro del viso, forse era un effetto della luce... pensai...
Chiamai subito per radio per avvisare dell'accaduto, io mi tenevo a circa quindici metri di distanza e potevo vedere bene sia il bambino che avevo davanti sia il punto dal quale era entrato.
Poveretto, con il freddo che c'era, era vestito in maniera quasi estiva... una camiciola scura, un paio di pantaloni strappati e... non riuscivo a vedere i suoi piedi ma... doveva essere scalzo... con quel freddo!
Erano caduti almeno trenta centimetri di neve durante il giorno... e nonostante mi sforzassi con la vista, non riuscivo a capire dove fosse il buco dal quale era passato...
C'era qualcosa di strano...
Non vi erano segni freschi sulla neve fresca e solo ora notavo che dal punto in cui era entrato al punto in cui si trovava, non aveva lasciato alcuna traccia...
Un urlo soffocato mi uscì di gola, lo sentii lontano come il rumore di un treno in corsa...
Mi risvegliai sul lettino dell'infermeria, il medico chino su di me... mi misurava la pressione e scuoteva la testa, mi fece una puntura e svenni di nuovo...
Da allora è passato tanto tempo eppure ricordo tutto come se fosse allora...
Senza capire cosa accadde veramente...
Forse il freddo mi giocò un brutto scherzo, forse vidi un bambino vero...
fatto sta che da allora anch'io credo ai fantasmi...
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Fantasmi dal passato.

“I capelli!”
La voce era uscita spontaneamente dalla sua bocca, aveva quasi urlato! Ma tanto che importava, non c’era nessuno in casa…
“Diamine, stavo dimenticando l’appuntamento col barbiere!”
Poteva urlare quanto voleva adesso! Nessuno si sarebbe lamentato. Erano passati tanti anni da quando la moglie l’aveva lasciato portandosi appresso i suoi due figli…
“Sono già le sette, spero di fare in tempo. Le odio, queste cene di beneficenza. Mi fanno perdere un sacco di tempo ma pare facciano bene alla mia immagine.”
Immagine…allora non si preoccupava dell’immagine quando picchiava la moglie. Non se ne preoccupò neanche quando la mandò all’ospedale con una gamba rotta perché aveva preso le difese del piccolo Arthur! Ma adesso era diverso, ora era un uomo importante oltre che ricco e così doveva curare la sua immagine…
“Fortunatamente è giusto qua, dietro l’angolo, sono quasi arrivato.”
Quella volta stava per essere denunciato ma, si sa, i soldi possono tutto! Così se l’era cavata ancora.
“Maledizione! Chiuso per lutto, non è possibile!
E ora?”
E si, se l’era cavata! Quando la moglie rientrò dall’ospedale lui era fuori per lavoro, i bambini erano con la domestica. Lei prese le suo poche cose e i suoi bambini e sparì nel nulla. Lui avrebbe potuto ritrovarla forse, ma non se ne occupò minimamente. La sua ritrovata libertà lo affascinava! Non si preoccupò neanche dei figli, pesi inutili!
“Guarda là che fortuna, quell’insegna è nuova!”
I bambini avevano sette e nove anni, Arthur era il più grande. Presero il treno delle sette per Liverpool. Non tornarono mai più indietro! Lei trovò alloggio in un quartiere malfamato, sotto falso nome. Trovò anche un lavoro come cucitrice in una grossa fabbrica di tessuti. Lavorava sedici ore al giorno in un ambiente malsano, morì due anni dopo di polmonite, lasciando i due piccoli senza speranze.
“Barberia. Certo che per essere nuova è abbastanza strana, sembra antica!”
Arthur fece quello che era in suo potere per accudire Jimmy, si trovò un lavoro e rientrava a casa a notte fonda. Jimmy non faceva che piangere per la morte della madre e un bel giorno ne morì!
“Non ho tempo da perdere, l’importante è che ci sia un barbiere dentro!”
Dopo la morte di Jimmy niente era più importante per Arthur eppure continuò a vivere a Liverpool per anni, lavorando e crescendo…
“Ragazzo! Barba e capelli…e sbrigati che ho molta fretta!”
Poi un giorno, leggendo il giornale vide una sua foto! Il padre era in lista per ricoprire una altissima carica ed era dato per vincente! Chissà se era cambiato! Non provava odio, ma solo terrore! A causa sua era morta la madre e il fratello, era un Mostro!
“Ragazzo! Ho detto che ho fretta… cosa aspetti a servirmi?”
“Mi scusi signore, arrivo subito!” Prese l’ampolla dell’acqua per bagnare i capelli e con gesto maldestro versò alcune gocce sulla giacca del cliente.
“Che diamine combini! Deficiente d’un garzone.”
“Ma è solo acqua signore, l’asciugo subito”
“Pensi forse di cavartela così? Io ti rovino, ti distruggo. Dov’è il tuo padrone?”
Non era cambiato, ora ne aveva la prova! Fu una questione di un attimo, la lama affilata del rasoio penetrò in profondità nella morbida pelle del collo del padre! Un fiotto di sangue sgorgo e andò ad imbrattare la camicia candida. In un ultimo gesto sollevò gli occhi e vide in faccia il suo assassino!
“Ciao Papà!”
L’orrore gli riempì la sua anima!
L’inferno lo aspettava!
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Antiche civiltà

Si dice che la storia presenti dei lati sconosciuti, si dice anche che essa rappresenti solo una parte della verità, quella che può essere tramandata ai posteri.
Sarebbe per questo motivo che gli storici di tutti i tempi hanno tenuti nascosti fatti e storie che, seppur vere, a loro giudizio non erano degne di far parte della storia dell'umanità. Tra questi ricadono tutti quegli eventi strani ed inspiegabili ad una analisi razionale compiuta secondo i canoni del moderno pensiero scientifico.
Per riuscire a trovare traccia di questi eventi "non storici" bisogna cercare in una tradizione orale che in certi luoghi permette di risalire indietro nel tempo anche atre, quattro secoli prima.
Il caso volle che io, in uno dei miei innumerevoli viaggi, mi imbattessi in uno di quei personaggi che una volta conosciuti non si possono dimenticare, una persona di quelle che portano in se la sapienza del tempo, che conservano il passato più remoto come fosse parte della loro stessa vita. Per sua bocca parlava tutto il suo popolo, ricco di fantasmi ed ombre che sembravano danzare attorno alla sua figura quando, in rari momenti, si concedeva ai suoi ricordi e intratteneva così i suoi ospiti, viaggiatori erranti assetati di sapere, che avevano avuto il suo indirizzo da qualche studioso della antica civiltà della Sardegna.
Il Vecchio, cosi era conosciuto in paese, era un anziano signore, sicuramente aveva superato i settanta da un pezzo, ma le rughe profonde che solcavano il suo viso non permettevano di stabilirne con precisione l'età. Lui d'altronde manteneva il più stretto riserbo sulla data e luogo di nascita.
Se si intervistava in proposito qualche suo compaesano, la risposta era sempre la stessa :<<>>. Qualcuno aggiungeva anche, sottovoce, che era sempre stato vecchio o almeno così lo ricordavano tutti.
Alcuni dicono che sia egli stesso uno di quegli esseri immortali di cui parla tanto spesso nei suoi racconti, inverosimili e allo stesso tempo credibilissimi per la dovizia di particolari con cui li guarnisce, particolari che i migliori libri non si soffermano a descrivere per mancanza di testimonianze dirette e sicure; i ricordi sono per lui come delle fotografie scattate in un passato più o meno recente e che trae da un immenso archivio per servirsene a suo piacimento.
Ascoltarlo mentre raccontava qualche fatto accaduto duecento anni prima era come proiettarsi in un mondo perduto, che tornava a vivere istante per istante. Rivivevano le persone, i loro racconti, le loro passioni e la loro morte, se cosi si può dire.
Durante un viaggio precedente avevo conosciuto un archeologo che mi aveva parlato di alcune tipiche costruzioni sarde e del mistero legato alla loro origine e al loro utilizzo. Mi disse che se avessi voluto informarmi più dettagliatamente su queste costruzioni mi avrebbe prestato volentieri alcuni suoi libri che portava sempre con se quando si trovava in giro per lavoro. Accettai volentieri e cominciai subito a leggere alcuni libri sulle costruzioni megalitiche in generale e sui nuraghe in particolare.
Così appresi la storia di queste costruzioni in pietra e i misteri ad esse collegati. Leggendo un vecchio libro, che poi in seguito non riuscii mai più a trovare, appresi il significato della parola nuraghe, o almeno uno dei possibili significati attribuitole, tale parola probabilmente significa torre cava o mucchio cavo. Sembrava che tali costruzioni fossero legate alla esigenza di proteggersi dalle ricorrenti invasioni di popolazioni nemiche. Ciò che allora mi lasciò esterrefatto fu un accenno alla resistenza delle mura, spesse il alcuni casi fino a sei metri. Tutto ciò ed altro ancora divenne parte delle mie conoscenze che andavo arricchendo di viaggio in viaggio.
Una sera, mi trovavo al circolo archeologico che frequentavo abitualmente, si parlava del mito di Atlantide e dei misteri collegati a certe costruzioni preistoriche e così finimmo per parlare dei nuraghi. Ebbi così l'occasione di intrattenere i miei amici su un argomento che conoscevo. Ricordare queste cose mi fece provare il desiderio di vedere di persona i nuraghi, di respirare l'aria delle loro torri, di scoprirne i segreti dimenticati dalla storia, legati solo a qualche leggenda quasi dimenticata.
Al termine di quella serata avevo già deciso di iniziare quel viaggio che poi ebbe tanta importanza nella mia vita.
La mattina dopo mi recai in agenzia per fare il biglietto non sapendo che sarebbe stato così difficile trovare un posto in aereo per Cagliari, capoluogo dell'isola.
Il primo volo in cui c'erano posti liberi partiva quattro giorni dopo, avevo tutto il tempo di preparare i miei bagagli e documentarmi ulteriormente sui nuraghi. La sera stessa cominciai a mettere da parte i libri che mi interessavano e che mi sarei portato al seguito, poi decisi che il giorno dopo sarei andato in biblioteca per vedere se esisteva una carta degli insediamenti nuragici. In biblioteca trovai ciò che cercavo, ebbi in prestito una carta che fotocopiai e poi resi al bibliotecario, un anziano signore che sembrava avesse addosso più polvere dei libri che curava, inoltre ebbi una informazione che mi avrebbe portato a scoprire cose che avrebbero cambiato radicalmente la mia vita.
Il bibliotecario era stato in Sardegna alcuni anni prima per degli studi sulla lingua e, in questa occasione, aveva conosciuto un personaggio molto speciale, noto come il vecchio, mi diede il suo indirizzo pregandomi, se ci fossi passato, di portargli i suoi saluti. Me lo descrisse come un tipo veramente speciale ma vi assicuro che nessuna descrizione può rendere l'idea di come sia fatto il vecchio.
Il viaggio fu tranquillo, all'arrivo a Cagliari un caldo tremendo mi fece capire che probabilmente non avrei avuto bisogno ne dei maglioni di lana, ne del cappotto che per abitudine portavo sempre appresso. Una volta atterrato e ritirati i bagagli, presi un taxi che mi condusse direttamente a Cagliari dove c'era una camera per me in un albergo sulla via principale della città. Appurai in seguito che il rumore provocato dal traffico era molto fastidioso per chi, come me, aveva intenzione di studiare e raccogliere appunti.
Il giorno dopo l'arrivo mi recai nella più vicina libreria e acquistai tutto ciò che di recente era stato scritto sulla civiltà nuragica in genere. Il pomeriggio lo passai a riordinare le mie carte e i libri e cominciai a scrivere il mio abituale diario di viaggio descrivendo le sensazioni che provavo in quella terra così antica e ricca di misteri. Devo ringraziare la mia abitudine di tenere un diario di ogni viaggio se oggi sono in grado di raccontare ciò che mi accadde in quei giorni con una tale dovizia di particolari.
Decisi che il giorno dopo avrei cominciato le visite ai musei senza attendere oltre. Tre giorni furono sufficienti a far si che mi addentrassi ulteriormente nella conoscenza della storia della civiltà nuragica e della sua espressione artistica. Ebbi occasione di conoscere alcuni studiosi del luogo che furono ben felici di parlarmi dei miti collegati alla presenza dei nuraghi in Sardegna. Fu in uno di questi incontri che si accennò ad un possibile collegamento con il mito di Atlantide, non potei fare a meno di sorridere, consideravo Atlantide una leggenda alla stregua del Diluvio Universale e non meritevole del mio interessamento. Così dimenticai subito quelle parole che accennavano all'esistenza di custodi di una civiltà perduta che vivrebbero nella nostra terra e che utilizzerebbero i nuraghi per i loro scopi.
Mi trovavo sull'isola già da una settimana e avevo cominciato a visitare i villaggi nuragici in modo sistematico, basandomi principalmente sulla loro dislocazione geografica e tenendo a mente le differenze dovute al diverso periodo di costruzione, secondo ciò che dicevano i libri. Avevo stabilito il mio itinerario in modo tale da non dover percorrere l'isola in lungo e in largo più volte, principalmente perché non potevo assentarmi troppo dal mio lavoro. In questo modo trascorsi altri giorni senza che accadesse niente di particolare.
Il decimo giorno di permanenza nell'isola mi vedeva nei pressi di Barumini per la visita ad uno dei più grandi e ben conservati villaggi nuragici dell'isola: Su Nuraxi.
Tutta la zona era ricca di testimonianze antiche, sopravvissute all'usura del tempo.
Avevo trovato posto in un alberghetto di un paese vicino, Isili, e da li mi spostavo per le mie escursioni per un raggio di circa quaranta chilometri. Per i due giorni successivi mi recai al villaggio di Barumini, questo era veramente ben conservato. Appresi che era stato scavato dopo il cinquanta. Potei vedere il pozzo sacro, la stanza delle riunioni, una specie di piccolo anfiteatro. L'atmosfera era tale che potevo quasi immaginare quei piccoli esseri che prendevano posto e in silenzio assoluto cominciavano il rituale del saluto, potevo quasi sentire le loro voci anche se, pensai, non avrei capito la loro lingua arcaica. Mentre pensavo a tutto questo, una strana sensazione si impadronì di me, una sensazione di vuoto indicibile, niente che avessi mai provato prima ma che ebbi occasione di provare successivamente in luoghi misteriosi quanto la Sardegna.
Ebbi la sensazione che prova un uomo che viene inghiottito da un gorgo, questo é l'unico paragone che mi sembra lecito, anche se non esprime tutto il terrore che provai; mi rendevo conto di non essere circondato dall'acqua ma da qualcosa di più temibile. Mi parve di compiere un viaggio dentro una scatola buia in cui sprofondavo sempre di più. Vedevo me stesso immobile, luminoso nel buio più assoluto, poi di colpo il buio cessò e lasciò il posto a scorci di una storia passata o comunque molto verosimile; vedevo, come in un film di cui io ero l'unico spettatore, tutto ciò che avevo letto nei libri e che avevo appreso nei giorni di permanenza sull'isola, ma vedevo anche molto di più; vedevo strane luminescenze nel cielo stellato di tanti secoli prima. Vedevo strani esseri vestiti di bianco muoversi in mezzo a rozzi rappresentanti di una civiltà antica. Vedevo adunanze in cui crudeli sacrifici venivano compiuti a favore di un dio potente che scendeva tra quei rozzi uomini a bere e mangiare il corpo del sacrificato. Veniva dal cielo in mezzo ad un fascio di luce azzurrognola che fungeva forse da ascensore tra un oggetto luminosissimo, ma forse per questo indistinguibile nella sua essenza, fermo a mezz'aria e la terra con i suoi rappresentanti, impotenti di fronte a simili forze divine.
Vedevo tante cose assurde per la mia mente scientifica, abituata a non fantasticare troppo su ciò che conosceva.
Di colpo, così come erano arrivate, le immagini sparirono. In un istante mi parve di ripercorrere il tunnel in cui ero sprofondato in senso contrario o meglio, ripensandoci bene, nel verso giusto perché la prima volta tutto sembrava come un film visto dalla fine verso l'inizio, un inizio che però non vidi a causa del mio ritorno alla realtà.
Probabilmente tutto ciò non duro che qualche minuto perché quando mi risvegliai dal mio stato di incoscienza il sole si trovava ancora nella posizione in cui l'avevo visto la volta precedente, l'unica differenza nel paesaggio consisteva nel fatto che un vecchio con barba e capelli bianchi ed incolti si trovava a qualche passo da me, seduto in quella stanza delle riunioni in cui mi trovavo quando ero stato colto da quello strano senso di vertigine che aveva preceduto le mie visioni.
Ebbi la sensazione di dovermi giustificare per il mio comportamento o forse per la mia presenza li, in quel luogo sacro e misterioso, ma non ebbi il tempo di proferire parola. Fu il vecchio che con un semplice gesto mi fece capire che dovevo sedermi accanto a lui. Con quel gesto il vecchio mi diceva tante cose .... , di nuovo una strana sensazione si impadronì di me, come se qualcuno frugasse nel mio inconscio alla ricerca di quel qualcosa di arcaico che é presente in tutti noi, di quel qualcosa che per tanto tempo é stato chiamato anima e di cui mai nessun uomo ha potuto provare l'esistenza. Io sapevo che la mia anima si trovava in mano a qualcosa di potente, a qualcosa che non era umano come noi intendiamo ma che comunque non era cattivo anzi, doveva essere buono, molto buono e allo stesso tempo molto forte. Mi pareva che qualche forza primordiale si fosse impadronita della mia anima per il tempo necessario per studiarmi e poi me la avesse resa, così come era stata presa qualche istante prima.
Capire che il gesto del vecchio era legato a ciò che mi era accaduto e cadere a terra svenuto fu un tutt'uno.
Quando mi ripresi ero solo, seduto su una panca in pietra, istintivamente mi voltai intorno per vedere che fine avesse fatto il vecchio ma non vidi nessuno. Guardai l'orologio e mi resi conto che era quasi l'ora della chiusura così mi avviai verso l'uscita con la mente ancora sconvolta da quegli avvenimenti tanto stupefacenti quanto inaspettati.
Quella sera rientrai presto in albergo, gli avvenimenti della giornata mi avevano sconvolto e stancato, così dopo qualche minuto mi infilai a letto e non impiegai tanto ad addormentarmi.
La mattina dopo mi svegliai verso le sei, giusto in tempo per vedere una stupenda alba. Il rosseggiare del sole, le nuvole alte e leggere che solcavano il cielo, il cinguettare degli uccelli appollaiati sulle grondaie mi fecero pensare che avrei trascorso una bella giornata. Mi lavai e vestii, poi scesi a fare colazione.
Per un istante mi bloccai sul pianerottolo della scala, mi girai e fissai un quadro che si trovava sulla parete di sinistra. Era una vecchia tela che rappresentava il volto di un vecchio dalla barba bianca e dai capelli dello stesso colore. Avrei giurato che si trattasse dello stesso vecchio che il giorno prima avevo incontrato al nuraghe. Ma avevo veramente incontrato qualcuno il giorno prima o si trattava di semplice suggestione, dovuta a quei giorni di studi appassionati ed al desiderio di scoprire a tutti i costi qualcosa di misterioso ? Poteva darsi che fosse tutta suggestione ma ora volevo andare avanti. Se prima ero spinto dal miraggio del mistero adesso che un mistero esisteva, anche se solo nella mia mente, il desiderio di chiarire tutta questa strana faccenda centuplicava le mie forze e spingeva la mia mente ad ipotizzare spiegazioni quantomeno strane.
Di colpo mi tornò in mente il vecchio di cui mi aveva parlato alcune settimane prima il bibliotecario che mi aveva prestato la carta degli insediamenti nuragici e in un attimo ebbi la certezza che quel vecchio era lo stesso che avevo visto a Barumini e che se volevo trovare il bandolo della matassa dovevo trovare lui.
Senza perdere altro tempo mi diressi verso l'auto che avevo affittato a Cagliari e che si trovava parcheggiata poco lontano, ricordai che il giorno prima avevo lasciato la carta turistica sul sedile posteriore. Cercavo di ricordare il nome del paese in cui abitava il vecchio. Ricordai che viveva solo in una grande casa posta a qualche chilometro dal paese di Oliena, con l'aiuto della carta avrei trovato il posto.
Oliena era assai distante da dove mi trovavo io, dovevo risalire quasi tutta la Sardegna. La casa del vecchio si trovava in una località chiamata Su Gologone.
Chiesi informazioni su quale fosse il modo migliore per raggiungere Oliena e quindi, raccolte tutte le mie cose dall'albergo, partii.
Arrivai ad Oliena verso l'ora di pranzo, trovai alloggio e mangiai qualcosa, quindi sistemai le mie cose e mi ripromisi di uscire in serata per chiedere dove abitasse il vecchio e per visitare quella stupenda località che é Su Gologone. Avevo ancora alcune ore a disposizione così decisi di riposarmi, il lungo viaggio in macchina mi aveva stancato non poco.
Come mi poggiai sul letto caddi in un sonno profondo, senza sogni, eppure quando mi svegliai, provai quella strana sensazione che si ha quando si cerca di ricordare qualcosa che si é sognato, ma l'unica cosa di cui ci si ricordi é di avere sognato. Eppure ero certo di non aver sognato.
Attribuii quel mio stato alla stanchezza che in quei giorni mi aveva provato e così decisi di rimandare la mia uscita al giorno dopo, quando sarei stato più riposato.
Scesi comunque nella hall, dove trovai il proprietario dell'albergo, e chiesi se mi poteva essere servita la cena in camera in quanto ero molto stanco e non avevo voglia di uscire. Il padrone fu molto gentile e mi assicurò che nel giro di mezz'ora mi avrebbe fatto portare la cena più gustosa che avessi mai mangiato e devo dire che mantenne la sua parola. Chiesi che, possibilmente, fosse tutto a base di pesce perché volevo stare leggero e poi, dopo aver ringraziato, mi ritirai nella mia camera.
Circa mezz'ora dopo arrivò la mia cena, antipasto misto di mare, spaghetti allo scoglio, gamberoni arrosto e zuppa di pesce; ogni piatto era servito con contorni di verdure fresche che avevano il compito di abbellire e di far risaltare i sapori di quei cibi prelibati. Al termine della cena andai a dormire e, non so se a causa di questa, ebbi degli incubi.
La mattina dopo ricordavo a mala pena che in uno degli incubi mi era parso di vedere il vecchio dalla barba bianca che mi fissava mentre io venivo scaraventato contro una parete ricoperta da punte aguzze. Il vecchio mi guardava benevolo e mi tese la mano poco prima che il mio corpo arrivasse a sfiorare le punte. Poi scomparve e io restai solo con i miei incubi.
Il mattino dopo mi alzai di buonora e chiesi al padrone dell'albergo se poteva indicarmi il luogo in cui abitava il vecchio. Mi indicò una casa antica che si scorgeva appena, immersa com'era nella vegetazione.
Era una vecchia casa in pietra, di un solo piano. L'ingresso era costituito da un portoncino in legno esposto a sud. Il tutto aveva un aspetto strano, come di una casa antica ma allo stesso tempo nuova, pareva che il tempo si fosse fermato. Gli alberi che circondavano la casa erano dei grossi ulivi ma la particolarità stava nelle cinque querce millenarie i cui tronchi avevano un diametro di circa due metri, disposte a pentagono intorno alla casa quadrata, come per proteggerla da qualunque influsso maligno. Mi appressavo alla casa con animo di chi si aspetta che accada qualcosa da un momento all'altro. Nel momento in cui oltrepassai la linea immaginaria di quel pentagono formato dalle cinque querce, la sensazione di stordimento che avevo già provato nei giorni passati mi assalì più forte che mai. Mi resi conto di essere nuovamente immerso in quel gorgo spazio temporale in cui già una volta ero sprofondato.
Rivissi quelle sensazioni che avevo provato all'interno del nuraghe di Barumini. Questa volta però ebbi tutto il tempo di vedere nella loro interezza, quegli sprazzi di storia passata che la volta prima mi erano stati solo accennati.
Tornai in albergo a tarda sera, la mattina dopo mi alzai presto, raccolsi le mie cose e pagai il conto, quindi mi diressi verso la casa del vecchio, o meglio, verso la mia nuova casa.
Ora sapevo cose che nessun uomo poteva sapere e che non avrei rivelato a nessuno fino a quando non fosse arrivato il momento giusto.
Non sapevo cosa avrebbe fatto il vecchio ma sapevo quale sarebbe stato il mio compito per i prossimi tre o quattro secoli.
Forse mi sarebbero mancati gli amici, il mio lavoro, la mia famiglia ma niente avrebbe potuto distrarmi dal mio compito.
Io sono stato scelto, come un tempo gli Dei sceglievano i loro sacerdoti, per essere il nuovo custode dei resti di quella antica civiltà scomparsa che gli uomini conoscono col nome di Atlantide.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Delta

Dovere, Mr. Coock. Aveva risposto il tassista, e si era allontanato.
La notorietà, certe volte faceva comodo, anche se si avevano sempre gli occhi addosso, tutti volevano sapere dove andavi a mangiare, dove passavi le ferie, dove … dove … dove …
E lui accontentava tutti, non si negava mai, era sempre gentile e rispondeva a tutte le domande, così conservava la sua immagine.
Era iniziato tutto molti anni prima, quando ancora non aveva i capelli bianchi, quasi per gioco, in seguito ad una scommessa fatta con un amico dopo qualche birra di troppo.
Era già ricco, anzi era uno degli uomini più ricchi del Nord America, ma ora era praticamente il padrone del mondo, avrebbe potuto fare o avere qualunque cosa avesse voluto.
Lui ora era il Padrone del mondo e di quasi tutti i suoi abitanti!
Il tutto per un gioco… assurdo!
Spesso tornava indietro con la mente a quella sera, si trovava a tavola con Jack Dennison, il suo migliore amico.
Si parlava di politica, tra una birra e l’altra, Jack sosteneva che se voleva arricchire ulteriormente si sarebbe dovuto candidare alle prossime elezioni politiche, con le sue risorse finanziarie avrebbe potuto sgominare tranquillamente ogni avversario che gli si fosse presentato davanti.
Ma Daniel Coock non era d’accordo, la politica l’avrebbe distrutto, coi suoi intrighi, sarebbe stato alla mercé di uomini senza scrupoli, non poteva riportare in quel mondo corrotto la sua organizzazione di tipo imprenditoriale, l’avrebbero distrutto.
Avrebbero cominciato con malignità e poi piano piano l’avrebbero relegato in una poltrona isolata dal resto del parlamento.
No, niente politica, avrebbe potuto avere più successo come capo carismatico e religioso che non come politico.
“Vorresti dire che potresti essere come il Papa?”
Gli disse sorridendo Jack.
“Certamente, non come il Papa, meglio del Papa, se volessi !”
“Scommetto un milione di dollari che non riesci neanche ad incontrarlo il Papa !”
Era iniziato così, per gioco e solo due persone sapevano che il fondatore della Religione Universale, Daniel Coock, il Primo Maestro, aveva cominciato tutto per gioco...

Assurdo?

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Gamma...

Era tutto come la prima volta...
dieci anni prima!
Aveva messo piede volentieri in quel piccolo asteroide, tanti anni prima...
Ed ora, nuovamente, sentiva quel piacere che aveva già provato una volta, pervadere la sua mente...
Allora era stato un viaggio di lavoro, alla ricerca di qualche minerale prezioso, si era diretto su Gamma in quanto le analisi spettrometriche compiute dalla strumentazione di bordo segnalavano un’elevata probabilità di successo. I due soli del sistema in cui si trovava conferivano al cielo una luminosità strana, i colori rosso violacei rendevano le ombre pallide e i contorni dolci... Non esistevano spigoli su Gamma. Sembrava un eterno tramonto... Forse era per questo che si era innamorato di quel piccolo asteroide. Allora le ricerche erano state infruttuose, non capiva cosa fosse successo ma i suoi strumenti avevano sbagliato.
Aveva passato dieci giorni ad esplorare l’asteroide in lungo e in largo, trivellando ed analizzando campioni di roccia, senza trovare traccia di alcun minerale raro. Era meglio così, perché nel frattempo si era innamorato di quel pezzo di roccia, era strano ma più passava il tempo e più desiderava restare su Gamma. Poi, il decimo giorno, terminate le analisi degli ultimi campioni, salì sul veicolo, indossò il casco di alimentazione e partì. Da allora una parte di lui era su Gamma e sembrava chiamarlo. Nei momenti di inattività il pensiero di Gamma tornava prepotentemente a galla e più di una volta si trovò inconsciamente sulla rotta del piccolo asteroide. Quella volta portava trenta passeggeri con se, turisti, gente ricca che non sapendo come spendere i soldi passa le ferie in giro per l’Universo. Saprei ben io come spenderli tutti quei soldi! Aveva scelto inconsciamente una rotta che lo portava a meno di un milione di chilometri da Gamma e ora si trovava irresistibilmente attratto da Lui. Strano. Più si avvicinava e più aveva paura, non sapeva perché, ma dopo la sensazione iniziale di piacere, una profonda paura lo pervase. Non riusciva a rallentare, voleva tornare indietro ma non ci riusciva, non era possibile …
Fu allora che percepì la sua “presenza”...
Una presenza inquietante... era come un'ombra che emergeva prepotentemente... dai suoi ricordi...
Si dirigeva contro un Essere primordiale che viveva da miliardi di anni in quell’angolo sperduto dell’universo... Le immagini si formavano chiare nella sua mente, l’Essere si stava divertendo a spaventare la preda, come un gatto col topo... prima di inghiottire il suo boccone di vite umane. Dieci anni prima era stato graziato perché era solo, doveva essere lasciato in vita perché sarebbe tornato, con altri esseri, con altro cibo. Era questa la sua strategia... Gli restavano pochi secondi, poi sarebbe stato il Nulla, pensò a quando era sotto le armi, nella Federazione Galattica, sarebbe bastato avere a disposizione una delle piccole Unità da battaglia per distruggere quel piccolo asteroide, per eliminare un pericolo così subdolo e salvare tante vite. Strano... ancora una volta... i secondi passavano... Gamma era alle sue spalle ormai.
Un milione di chilometri li separava e la distanza cresceva... erano salvi!
Non sarebbe più tornato in quell’angolo dell’universo, non sapeva cosa c’era su Gamma, ma qualunque cosa fosse non desiderava più incontrarla... forse!
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Beta...

Si trattava, come al solito, di un falso allarme.
Tutti urlavano, per la strada, correvano da una parte all’altra come impazziti, poi come se niente fosse rientravano nelle loro case, l’allarme cessava e con esso la follia che spingeva tutti a scappare per le strade.
Era sempre la stessa storia, andava avanti da centinaia d’anni, giorno dopo giorno, sempre la stessa pazzia, così dicevano i registri mastri, le uniche cose che avevano senso in un mondo assurdo e pazzesco.
Io stavo là, nel mio punto d’osservazione, su Giove da quasi cinquanta anni... tra poco mi avrebbero dato il cambio e, finalmente, avrei potuto riposare.
Era assurdo... osservare quegli esseri, registrare i loro movimenti, il loro comportamento, a che fine poi?
Che pericolo potevano rappresentare per noi quegli stupidi esseri insignificanti, che si divertivano ad ammazzarsi tra loro, che correvano da una parte all’altra per tutta la vita, che non rispettavano neanche chi li aveva messi al mondo?
Ancora pochi anni e sarebbero scomparsi dall'Universo!
Definitivamente... questa volta... non come l'ultimo Diluvio... ne erano sopravvissuti alcuni e... eccoli la, di nuovo, a miliardi...
In ogni caso non sono cose che mi riguardano, io ho quasi terminato il mio turno di osservazione e potrò finalmente tornare a casa e lasciare agli Uomini la loro Terra, le loro guerre e i loro stupidi giochi!
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Alfa...

Non vi era altro che buio...
un buio profondo, spesso... che difficilmente potrebbe esistere adesso.
Era un buio assoluto e tremendo ma, allo stesso tempo, estremamente riposante...
Ancora non esisteva niente, non esistevano particelle, non esistevano atomi o molecole, non esisteva la luce né tanto meno queste fastidiose onde elettromagnetiche!
Non esistevano stelle né pianeti, e i buchi neri, se fossero esistiti sarebbero stati dei bruttissimi nei bianchi in mezzo al buio più buio di tutti i tempi!
Era un’esistenza noiosa, se di esistenza si può parlare, ma non mi ero mai sentito solo fino a quel momento...
Ritenevo che, tutto sommato, si stesse bene... forse perché non avevo mai provato niente di diverso...
Poi, un giorno (anche se non dovrei parlare di giorni perché ciò presuppone l'esistenza del tempo, cosa che allora ancora non esisteva!) accadde qualcosa di strano...
Qualcosa si muoveva, davanti a me, come un’ombra vista al positivo su una lastra fotografica...
Era qualcosa di strano, dicevo, in quanto nulla era mai esistito e nulla sarebbe mai dovuto esistere, se fosse dipeso da me!
Strano... pensai... che accade?
Avevo bisogno di riflettere... e intanto il tempo passava... e passava... e passava!
L'ombra divenne luce... la luce, esplosione di particelle... prima piccole, poi grandi, poi enormi...
E apparve la vita e la morte la seguì da vicino...
Avrei potuto fermare tutto... se solo avessi voluto, se solo avessi pensato alle conseguenze ma era troppo tempo che vedevo solo il buio e nient’altro che quasi quasi quelle novità mi piacquero.
Se non fosse per il mio immobilismo...
Era stato un caso, come quando si vince al lotto, solo un semplice caso...
Non ho avuto nessuna colpa, né alcun merito...
Sono qui e osservo... attendo... penso... un po' turbato dal caos che mi circonda...
Un giorno forse dovrò prendere una decisione... forse... dovrei intervenire?
Non so... forse è meglio che lasci fare al caso, come è già stato una volta, oppure devo fare qualcosa, ma cosa?
Tutto sommato... che fastidio mi danno a parte il fatto che tutti mi cercano... mi invocano... pregano... compiono atti che non so definire... senza sapere cosa fanno...
Senza capire perché lo fanno...
Tutto ciò per me?
Dio...
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO