sabato 21 aprile 2018

Racconto imperfetto...

Era una notte scura e senza luna.
Le stelle pallide, dietro un sottile velo di foschia, erano l'unica fonte di luce.
Camminavo a tentoni in mezzo al campo, inciampando di tanto in tanto in qualche radice o cespuglio invisibile ai miei occhi. Ripensandoci oggi, a distanza di tanto tempo, sento ancora i brividi di paura.
Il freddo intenso...

Ma che sto scrivendo?

Paolo strappò il foglio dalla macchina da scrivere e lo buttò nel cestino, o quanto meno ci provò.
Quella sera il pavimento era cosparso di prove e tentativi. Prove di scrittura e tentativi di azzeccare il cestino!
Il risultato era disseminato sul pavimento della veranda.

Fuori era una bella serata di primavera.
La luna illuminava una striscia di mare poco profondo che restituiva a chi osservava la vista di un'acqua trasparente che solo in Sardegna si poteva trovare.
L'aria era calma e fresca, piacevole. Ancora non c'erano state quelle giornate di caldo intenso che lasciavano l'aria piena di umidità, tipiche dei mesi di luglio e agosto.

Paolo si alzò dalla scrivania e uscì in veranda. Una boccata d'aria, forse, gli avrebbe permesso di sbloccarsi e trovare un attacco degno di questo nome per il suo prossimo racconto.

Erano mesi che scriveva quasi senza interruzione.

Il suo editore attendeva e il suo pubblico ancora di più, a detta sua.
E Paolo non voleva farli attendere.
Aveva bisogno di soldi!
Quelli servivano sempre e lui non riusciva a tenerne mai da parte a sufficienza per soddisfare le sue spese, le sue necessità e i suoi capricci...

La veranda era ampia e spaziosa, costruita in legno d'olivo quasi sopra il mare. L'aveva fatta realizzare, subito dopo aver acquistato la casa, da un falegname del luogo che si era dimostrato all'altezza della sua fama.
Si sentiva ancora l'odore della vernice fresca. Il legno era bello ma necessitava di continua manutenzione e all'inizio della primavera, come ogni anno, Paolo aveva chiamato Giovanni, un amico che al contrario di lui aveva il dono della manualità per effettuare i soliti piccoli ritocchi.
Giovanni si era occupato di qualche  riparazione e di riverniciare la veranda che era tornata come nuova.

Poco lontano, sulla destra, si intravvedeva la lunga distesa di spiaggia di Platamona con le sagome scure dei pescatori che si stagliavano ben definite sulla spiaggia bianca.
Sulla sinistra, immersa nell'oscurità delle rocce, era possibile distinguere la torre spagnola, una delle tante ancora in piedi lungo le coste sarde.

La brezza leggera portava con se profumi e rumori.
Il profumo di pesce arrostito sulla spiaggia e il rumore di un gruppo di ragazzi che festeggiavano chissà cosa. Beata gioventù!

Paolo respirò a fondo cercando di trovare l'ispirazione che sembrava essere scappata proprio nel momento del bisogno. Diede un'ultima occhiata al mare e si voltò per tornare alla sua scrivania in legno, sulla quale stava poggiata la macchina da scrivere e una pila di fogli bianchi.
Mentre si girava udì un rumore provenire dalla spiaggia, come di qualcuno che corresse, quindi uno sparo, un colpo di pistola, poi un altro e un terzo.

Di colpo intorno a lui tutto  si fece scuro...

Cadde a terra, faccia in avanti, ma non sentì dolore.
Prima di chiudere gli occhi, sentì l'odore dolciastro del sangue sul legno del pavimento e vide una macchia scura che si allargava in cerchio attorno alla sua faccia...

No!
Non va bene.
Chi vuoi che legga un romanzo in cui il personaggio principale è uno scrittore mezzo fallito che scrive ancora con la macchina da scrivere?
Per carità!
Alessandro chiuse il file senza salvarlo, colto da un momento di nervosismo, un momento che però ormai durava da diverse settimane.
Non riusciva proprio a scrivere.
Forse era l'ambiente.

Per fortuna non aveva problemi di soldi.
I suoi precedenti romanzi avevano avuto un discreto successo di pubblico ed erano stati venduti in diversi stati.
L'idea di scrivere in spagnolo era stata vincente.
La maggior parte dei colleghi continuavano a scrivere in inglese dimostrando di non essere in grado di capire...
Alessandro aveva un Dottorato in Economics che gli aveva sempre consentito di trovarsi un passo avanti rispetto agli altri.
L'analisi dei mercati gli aveva detto che i libri in lingua inglese erano un business solo per chi aveva già avuto un certo successo.
Era molto difficile conquistare una fetta di mercato che andava strappata a qualche scrittore troppo famoso per lui. Invece il mercato dei libri in lingua spagnola era in crescita e gli scrittori erano pochi se paragonati agli inglesofoni.
Si poteva provare.
Il suo primo romanzo aveva venduto due milioni di copie. Un successo subitaneo quanto inaspettato!

"Domani parto", pensò a voce alta.
"Spero proprio di ritrovare la vena.
Il volo per la Sardegna parte alle 10 e la stanza a Orgosolo è già prenotata per un mese.
Bene, meglio andare a dormire".

La mattina dopo prese l'aereo per Olbia. All'aeroporto lo attendeva un ragazzo del paese con una vecchia utilitaria che guidava come fosse una ferrari.
Nelle curve che si arrampicavano su per le montagne di Orgosolo più d'una volta temette di finire giù per un burrone.
Le strade erano strette e tutte curve. 
I muretti in pietra che fungevano da protezione non davano alcuna garanzia di sicurezza.
Chiuse gli occhi, un po per cercare di riposare, un po per evitare di pensare alla morte che potenzialmente lo attendeva dietro ogni curva. Aveva provato a protestare ma il ragazzo rallentava per un attimo e poi riprendeva a correre più forte di prima. Meglio lasciar fare e sperare...

Arrivarono al suo B&B verso le tre del pomeriggio. La sua stanza era pronta, comoda e confortevole.
Nell'aria si sentiva ancora l'odore della carne arrosto e del mirto fresco. La corsa in macchina gli aveva tolto l'appetito ma a certi odori non si può resistere.
Un bicchiere di vino nero, cannonau fatto in casa, lo aveva subito rivitalizzato così decise di assaggiare un dolce tipico di cui non ricordava il nome, di un gusto particolare, a base di formaggio e miele.
Il resto della serata lo passò a disfare la valigia e sistemare il suo angolo di lavoro.

La stanza era ampia, un letto rustico ad una piazza e mezza in legno d'olivo occupava la parete sinistra della stanza, in fondo si trovava un bagno semplice ma comodo e pulito. Sulla destra vi era un piccolo frigo e la scrivania, ampia quasi quanto il letto con una grossa e luminosa lampada da lettura, occupava tutta la parete.
Alessandro vi posizionò il suo laptop e i libri che lo seguivano ovunque, una copia dell'Odissea, un vecchio volume di Erodoto e un libro di fantascienza di Isaac Asimov, il suo scrittore preferito. Agenda e penne completavano l'armamentario.

Il tempo era bello. L'aria di montagna fine e ricca di ossigeno era impregnata di profumi di fiori selvatici.
Di tanto in tanto si sentiva lo scampanio di qualche capo di bestiame che vagava libero per i dirupi...

"Basta!
Non mi piace", disse la ragazzina bionda al ragazzo che le stava seduto a fianco e leggeva a voce alta.
"Questo romanzo non dice niente, e poi sono stanca di stare seduta qui...
Andiamo a prenderci un gelato?"

Lui annui. 
Poggiò il libro sulla panchina, esattamente dove l'aveva trovato.
Guardò ancora una volta la copertina consumata dal tempo prima di abbandonarlo nuovamente... "Racconto Imperfetto", recitava il titolo.

"Si, è proprio vero!
E' proprio un racconto imperfetto..."
Aggiunse ridendo, mentre le correva appresso.

Il libro restò li, sulla panchina, ancora una volta abbandonato, aperto a metà, in attesa che qualcuno lo trovasse e, magari, apprezzandolo, lo portasse con se in casa, in mezzo ad altri libri come lui... imperfetti forse, ma più fortunati!

Alessandro Rugolo

martedì 17 aprile 2018

Le ossa del drago

Camminavamo assieme come ogni sera lungo la pista ciclabile di Porto Torres.

Il mare era mosso e le onde si infrangevano rumorosamente sugli scogli sollevando schiuma bianca che ricadeva sulla roccia nuda.

Ci fermammo un attimo ad osservare il mare.

Di fronte a noi si stagliavano, immerse nella foschia, quasi irreali, le cime dell'isola dell'Asinara.

- Guarda! - dice mia moglie - sembrano galleggiare sul mare.
La foschia in cui l'isola era immersa faceva si che sembrasse galleggiare 
nell'aria.
- Si, hai ragione, è molto bella. Faccio una foto...

Ci fermammo un attimo, il tempo necessario per scattare qualche foto e stavamo per riprendere la camminata quando dietro di noi si fermò un vecchio.

- Bella vista, vero? - disse, rivolgendosi a noi in sardo, ma con un accento particolare.
- Si, fantastica...
- Quelle sono le ossa del drago. - aggiunse il vecchio indicando le cime dell'isola che emergevano dalla foschia. 

Era impossibile non notare la sua pelle scura e secca. Il viso era raggrinzito come una prugna secca e sulle labbra e sulla fronte i segni del tempo erano incisi in profondità. Doveva avere almeno... novant'anni, pensai!
Eppure niente nei suoi movimenti denotava stanchezza o vecchiaia.
Gli occhi erano neri e lucenti, profondi. Di bassa statura, spalle robuste, braccia ancora spesse e muscolose spuntavano da una vecchia maglietta pulita ma consumata dal tempo.
Si era fermato a guardare l'isola, affianco a noi, con quei suoi occhi antichi.
- Scusate - mormorò a bassa voce, e fece per andar via.
- Perchè dite che quelle sono le ossa del drago? - Domandò mia moglie incuriosita più dalla figura del vecchio che dalle sue parole - Cosa significa?

Il vecchio si era già girato di spalle, pronto ad allontanarsi silenziosamente come era arrivato. La domanda lo sorprese, forse, perchè si fermò di scatto e voltatosi, ci guardava fisso, prima lei, poi me, poi di nuovo lei... come se fosse indeciso su cosa dire.

- Volete sentire una storia antica?
- Si, naturalmente! - disse mia moglie, mettendosi seduta nella panchina che stava proprio affianco a noi e porgendo al vecchio la mano. Io sono Giusy...
- ed io Alessandro.

- Bene, allora ascoltate... - e cominciò a raccontare, con la sua voce profonda da vecchio...

- Ci fu un tempo in cui la terra era molto diversa da come la conosciamo oggi. Il mare non era così grande, le montagne erano giovani ed alte. Il paese, qui dietro, non era altro che un piccolo villaggio di capanne di pescatori che si stendeva laggiù - e indico il mare di fronte a noi - e tutta questa terra era una unica distesa di boschi di querce.
Era estate ed il mare era calmo. Era liscio come l'olio, e molti pescatori erano usciti al largo con le loro barche. Si pescava bene in quei giorni, splendide orate, spigole, scorfani e sardine abbondavano. Gli uomini rispettavano il mare e il mare rispettava gli uomini. Non come oggi... - e mentre raccontava gli occhi gli si illuminavano, come se parlando rivivesse quei momenti passati con rimpianto. Aveva un suo modo di parlare che aveva qualcosa di particolare, di affascinante. La pelle della fronte si aggrottava e distendeva, mentre parlava. Tutto il suo corpo si tendeva mentre si concentrava per cercare di ricordare. Sembrava quasi che lui fosse stato li presente, protagonista della sua storia.

- Dai vostri sguardi capisco che possiate non credermi, non vi chiedo di credermi, ma ora ho iniziato... abbiate pazienza ed ascoltate le farneticazioni di un vecchio pescatore.

- La vita scorreva tranquilla. Ogni giorno il sole sorgendo illuminava gli uomini intenti nelle loro occupazioni. C'era chi pescava, chi esercitava la professione di medico, chi allevava bestiame, chi panificava. I bambini andavano a scuola e, per prima cosa, imparavano come si deve rispettare la natura. I capi delle comunità, oggi diremo i sindaci, si occupavano del benessere di tutti e avevano una grande cura delle cose di tutti. Il loro compito era far si che ciò che il paese aveva ricevuto dai loro avi e predecessori venisse passato integro ai figli e ai figli dei loro figli.

Le parole avevano un suono familiare. Non conoscevamo il vecchio ma era come se fosse stato sempre di famiglia. Era come se uno dei nostri nonni fosse tornato in vita e noi, bambini, lo ascoltavamo in riverente silenzio...

- Le guerre erano rare. Era da tempo che nell'isola non si avevano più problemi con i pirati. Gli ultimi erano stati scacciati definitivamente in una grande battaglia sul mare, dove oggi c'è la spiaggia di Stintino e le nuove generazioni non avevano idea di cosa significasse combattere per la propria sopravvivenza. Forse ciò fu causa, almeno in parte, di ciò che accadde dopo.
Una mattina, all'alba, per le strade della città antica risuonò potente e incessante la sirena dell'allarme. Uomini e donne si precipitarono per strada, non più abituati a sentire il sibilo della sirena. I vecchi, nonostante gli acciacchi, furono i primi a riversarsi per strada. Prendevano con se solo un soprabito pesante e una fiasca d'acqua, incitando i giovani a fare come loro e con quel carico leggero si dirigevano verso gli ingressi che portavano sotto terra. Di questi ingressi ormai non è restato più niente a vista, infatti il mare li ha ricoperti tutti e molti sono crollati.

Il vecchio si fermò un attimo ad osservare il mare sotto di noi, quasi potesse vedere cose che noi non vedevamo. Il suo sguardo era fisso verso la chiesetta di Balai vicino.

- Immagino che gli ingressi si trovassero dove oggi si trovano le profonde fenditure nella roccia. - Disse mia moglie indicando le spaccature che mettono a rischio la tenuta della strada che costeggia Porto Torres.

- Si, laggiù c'era l'ingresso principale e da quassù avreste visto migliaia di persone che senza mai voltarsi si dirigevano a passo veloce nelle profondità della terra. Molti di loro non sapevano come comportarsi ma i più anziani gli davano l'esempio. Per i bambini era tutto più semplice. Per loro era quasi come un gioco. A scuola gli veniva insegnato che dovevano prendersi per mano e seguire gli adulti, in silenzio, e così facevano.

Poi c'erano gli altri, quelli che avevano dei compiti specifici da assolvere. C'era chi era incaricato di provvedere ai viveri per tutti; un piccolo gruppo di uomini e donne erano incaricati di ciò. Si diressero verso i camini in pietra disseminati per il paese e grazie a grossi cesti vi calarono dentro tutto il pane fresco, verdure, frutta e formaggi  che trovarono nei banconi dei negozi, quindi anche loro si misero in salvo. Questi camini in pietra oggi non esistono più, sono stati distrutti dal tempo che riduce in polvere le pietre come i ricordi.
E infine c'erano i sacerdoti. Anche loro avevano il loro bel da fare.
I più giovani si misero subito a disposizione dei più vecchi. Avevano bisogno della loro guida per compiere tutte le operazioni che avevano studiato sui testi sacri ma mai messe in pratica. Ognuno di loro aveva il suo compito, ma il più importante era il Grande Padre, colui che aveva la responsabilità di tutte le operazioni per il risveglio, colui che non poteva essere sostituito perchè ne nasceva solo uno ogni mille anni e il suo destino era segnato sin dalla nascita.

- Il grande padre? Risveglio? Ma di cosa sta parlando? - Dissi a voce bassa all'orecchio di mia moglie, un po spazientito...
- Shhh! - Mi rispose lei - lasciami ascoltare!

Era un vecchio dalle rughe profonde che solcavano la sua fronte ampia. La pelle scurita dalle tante stagioni passate lo faceva somigliare ad una mummia di quelle che si vedono nei musei. Ma la sua mente era sveglia, i suoi occhi attenti, lo spirito presente in ogni momento, la voce potente...
Era circondato dai suoi dieci allievi. Un giorno uno di loro, solo uno, avrebbe preso il suo posto. Fortunato e sfortunato allo stesso tempo, avrebbe visto gli anni scorrere a fiumi, i suoi amici sarebbero invecchiati e morti, con loro sarebbero scomparsi i suoi affetti più cari...

Le operazioni si susseguivano senza sosta, la voce cantilenante del Grande Padre risuonava per tutto il paese diffondendo quel senso di sicurezza che tanti secoli di storia assicuravano. Il rumore di antichi ingranaggi rimessi in movimento dopo tanti anni risuonava nell'aria e la polvere del tempo si sollevava dalle colline e si diffondeva nell'aria ricoprendo i tetti delle case di un sottile strato lucente.
In lontananza si intravvedevano le sagome di navi da battaglia. Alcune solcavano il mare, le più grandi, altre volavano nell'aria, leggere.
Il Grande Padre sapeva di non avere più molto tempo ma non poteva far altro che ripetere quelle operazioni che aveva imparato tanti anni prima e che aveva già messo in atto diverse volte in passato. Non avrebbe modificato una sola operazione, non avrebbe cambiato una sola parola del suo cantilenante ritmo.

Il difensore intanto si risvegliava. 
La testa affusolata era già emersa dalla polvere, le sue spalle possenti la sostenevano, centinaia di metri al di sopra dei tetti delle case più alte. La polvere continuava a cadere sui tetti dando l'idea di un paese abbandonato da tempo. 

Poi, il Grande Vecchio si fermò! Smise per una attimo di cantare, solo per un attimo, per poi riprendere con una nenia del tutto differente. Mentre prima doveva risvegliare il difensore, ora doveva guidarlo in battaglia, contro il nemico che era sempre più vicino. Il ritmo si fece più incalzante, la voce più profonda e potente che mai. Suoni minacciosi come rombi di tuono riempivano l'aria. Lampi di fuoco colpivano la terra e il mare circostante, senza però nuocere gli uomini che oramai, compiuto il loro dovere, erano riparati nei rifugi. Solo il Grande Padre, con i suoi dieci giovani aiutanti, proseguiva nel suo lavoro, mettendo a rischio la propria vita per la salvezza di tutti gli altri. 

Il vecchio continuava il suo racconto. 
La voce roca e profonda aveva un effetto quasi soporifero su di noi eppure le parole risuonavano chiare nella nostra mente. In lontananza la sagoma dell'isola dell'Asinara sembrava prendere vita e rizzarsi su zampe possenti a difesa del porto e della cittadina di Porto Torres.
Io e mia moglie sembravamo in trance...

Poi si udì un boato spaventoso. Una colonna di fuoco e polvere si sollevò proprio di fronte al paese, dove oggi c'è il porto. In lontananza un rombo di tuono, continuo, si avvicinava minaccioso, portando con se il terrore della forza della natura violenta. Il mare si riversò sul paese, lungo le strade, dentro i camini di pietra, fin nelle viscere della terra. 
Il Grande Padre e il difensore sembravano inermi di fronte all'ondata distruttiva. Il nemico era stato colpito anch'esso. Le grandi navi in balia delle onde vennero rovesciate. I vascelli volanti, sorpresi alle spalle dall'onda gigantesca non fecero in tempo a sollevarsi e furono travolti.
Fu un giorno terribile...

Mentre pronunciava queste parole, il vecchio piangeva, come se, ancora una volta, rivivesse quei terribili istanti.

Poi il difensore, sentendo il pianto del Grande Padre per la distruzione che lo circondava, prese l'iniziativa. Ritto sulle sue enormi zampe si frappose tra il paese ed il mare, trattenendo quell'enorme onda, impedendo che raggiungesse l'ingresso principale dei sotterranei.
Il difensore si distese di fronte al paese formando una enorme catena montuosa che col tempo e con il crescere delle acque si trasformò in un'isola, l'isola dell'Asinara. 
Quelle che oggi vedete, confuse nella foschia, non solo altro che le ossa di un vecchio difensore, sacrificatosi per il paese... le ossa del drago!

Alzammo gli occhi di fronte a noi. 
Le gobbe dell'isola sembravano ciò che restava di un gigantesco drago, ormai a riposo.
Ci girammo intorno ma il vecchio, così com'era arrivato, silenziosamente era sparito, lasciandoci nel cuore il senso di tristezza e solitudine di una giornata umida e ventosa...

Alessandro Rugolo e Giusy Schirru