martedì 29 aprile 2014

Borametz

- Ecco, siamo arrivati!
Le parole erano giunte piacevoli alle orecchie degli uomini del gruppo. Si tolsero gli zaini dalle spalle e li poggiarono sulle rocce assolate. Di fronte a loro un piccolo pianoro, dietro di loro il baratro che avevano appena scalato. Davanti a loro, oltre il pianoro che si estendeva per alcune decine di metri, una enorme vallata verde, ricca di corsi d'acqua e di piante, senza alcuna traccia della civiltà!
- Ora possiamo riposare. Mettete tutti gli zaini sulle rocce, non lasciateli a terra. Josè, Mario, montate le tende. Juan, prepara il fuoco. Noi invece vediamo se riusciamo a trovare dell'acqua fresca, con tutte queste rocce ci sarà pure una sorgente. Alejandro era abituato a comandare e i suoi uomini erano abituati ad obbedire. Si conoscevano da tempo e avevano tutti piena fiducia nelle sue doti di condottiero. Era il capo indiscusso, l'amico fedele, il fratello maggiore e il padre severo. Era giusto e per questo lo seguivano.
Il campo fu pronto nel giro di pochi minuti. La legna secca raccolta aveva dato vita ad un focolare improvvisato. Acqua fresca era stata raccolta e patate arrostivano tra la cenere. Il cielo era diventato rosa e poi sempre più scuro. La notte scendeva fredda ma le tende li avrebbero riparati dall'umidità. Il giorno dopo sarebbero ripartiti nella direzione che Alejandro avrebbe loro indicato.
- Alejandro!
La voce era forte, sempre più forte, come se il lungo viaggio avesse accorciato la distanza che lo separava.
Le parole erano solo nella sua testa ma per lui era come se fossero reali. Risuonavano, consigliavano, ordinavano, aiutavano lui e la sua tribù. E non si poteva dubitare, tutto ciò che veniva lui detto subito si realizzava.
- Alejandro, non c'è più tempo! Domani mattina dovete riprendere il viaggio.
- Sarà fatto! Rispose nella sua mente. L'indomani mattina sarebbero ripartiti per il loro viaggio.
La notte passò veloce e serena come le notti di chi è stanco per il lungo cammino. senza sogni.
- Andiamo, dobbiamo riprendere il cammino! Disse Alejandro svegliando i suoi uomini. ritirate le tende e pronti a partire tra mezz'ora.
- Mario, prendi con te due uomini e fate provvista d'acqua per due giorni, non potremo fermarci più. Non c'è più tempo!
- Va bene Alejandro. Rico, Marcelo, prendete due otri a testa e venite con me. La piccola squadra si diresse verso la sorgente poco lontana.
Trenta minuti dopo tutti erano pronti. Gli uomini erano stanchi ma tutti sapevano che la loro missione doveva essere compiuta e solo Alejandro aveva la forza per farlo. Erano in viaggio da trenta giorni ormai ed erano vicini alla fine. Poi il ritorno, se ci fosse stato ritorno, sarebbe stato più tranquillo. Senza più fretta. Ma ora dovevano muoversi. Alejandro diceva che non c'era più tempo e nessuno metteva in dubbio la sua parola.
- Abbiamo ancora due giorni di viaggio ma non potremo fermarci. Mettetevi in tasca delle patate cotte ieri sera e prendete l'acqua che vi servirà per il viaggio. Prendete queste foglie. Quando sarete stanchi e penserete di non riuscire più ad andare avanti masticatene una. Solo in quel caso. Solo se proprio non riuscite ad andare oltre.
Alejandro si girò e cominciò a scendere sul lato opposto della montagna, verso la vallata verde che si apriva davanti a loro.
La strada non esisteva, veniva aperta passo dopo passo tra la vegetazione bassa e spinosa. Arbusti mai visti prima li circondavano, la vegetazione era lussureggiante nonostante l'altitudine.
Arrivò il mezzogiorno, arrivò la sera.
Alejandro non accennava a rallentare, mise in bocca l'unica patata che aveva tenuto per sè, la masticò con calma, ben sapendo che sarebbe stata l'ultima.
Arrivò la notte, arrivò la mattina.
I suoi uomini erano stanchi, li sentiva arrancare alle sue spalle, li sentiva affannarsi dietro il suo passo sicuro. sentiva le loro forze venir meno ma non poteva far niente per loro. Tutto ciò che era in suo potere era già stato fatto. Ora toccava a loro, ad ognuno di loro, cercare nel proprio essere le forze per arrivare alla fine. Lui non si sarebbe più fermato per nessun motivo e loro lo sapevano. Erano consapevoli dei rischi.
Arrivò il mezzogiorno, arrivò la sera.
- Mangiate le vostre patate, se ancora ne avete. Disse Alejandro alzando la voce per farsi sentire da tutti. Domani mattina all'alba saremo giunti alla meta e non vi serviranno più.
- Mangiatele ora e cercate di masticarle bene. Non possiamo ancora fermarci.
Ogni uomo aveva ricevuto quattro patate per gli ultimi due giorni di viaggio ma le avevano consumate tutte il primo giorno. non restava che l'erba che gli era stata data. Mario prese una foglia, la guardo riponendo in essa tutte le sue speranze e la portò in bocca masticandola lentamente, cercando di sentire ogni sfumatura del suo sapore. L'essenza degli olii che conteneva ebbero un effetto immediato sul suo spirito e sul suo corpo. Ora gli sembrava di avere le ali ai piedi. Non sentiva più la stanchezza. Sarebbe durato?
Arrivò la mezzanotte...
Mario crollò a terra. Non s'era accorto di niente. Il passaggio dalla vita alla morte era stato istantaneo. Non aveva sofferto e non si era accorto di niente. Gli altri lo scavalcarono senza fermarsi.
- Alejandro.... Mario è caduto. Disse Juan dal fondo della coda.
- Lo so, ma non possiamo fermarci ora, ci penseremo più tardi. Ora non possiamo fermarci. La voce era forte, come sempre. Solo un leggero tremolio tradiva il suo dispiacere. Ma non potevano far niente per lui. Se aveva preso la foglia non c'era più niente da fare.
- Mancano poche ore! Stringete i denti e andiamo avanti.
Erano le tre del mattino. Le stelle si allontanavano e la luce del sole mattutino cominciava ad intravvedersi di fronte a loro. Un tonfo annunciò la caduta di un altro dei suoi. Questa volta era toccato a Juan. Anche per lui il passaggio era stato istantaneo. Un istante prima pensava alla sua famiglia, alla giovane moglie che lo aspettava a casa. Al figlioletto Pablo, che un giorno avrebbe forse compiuto il suo stesso percorso. Poi, di colpo, il buoi. Il cuore era scoppiato istantaneamente.
Arrivò l'alba.
Alejandro proseguiva il suo viaggio. Da un'ora non sentiva più il rumore dei compagni dietro di se. Era rimasto solo. Solo... con la sua stanchezza e con le sue foglie d'erba nella tasca. Il sudore scorreva lungo la pelle. L'odore della sua pelle era forte, era l'odore della stanchezza, della tensione, della paura.
- Eccomi, stò arrivando...
Di fronte a lui il Borametz, immobile, lo fissava. Era appena spuntato dalla terra e i primi raggi del sole illuminavano la sua lana dorata.
- Perdonami Signore, sono arrivato solo io!
Disse rivolgendosi al Borametz. Estrasse il coltello sacro che gli fu consegnato tanti anni prima da suo padre che l'aveva ricevuto dal padre. Così era stato per generazioni e così sarebbe sempre stato, Borametz volendo!
- Fai ciò che devi! La voce, forte, era rimbombata nella sua testa.
- Fai ciò che devi! Ripeteva continuamente.
Il coltello brillò alto sulla sua testa, prima di calare sul Borametz con forza. Alejandro recise le quattro zampe con sicurezza, piangendo.
Sangue rosso ricoprì la terra a fecondare i semi del prossimo Borametz.
Alejandro raccolse il corpo del piccolo agnello vegetale, raccolse il liquido rosso come il sangue nel suo otre vuoto.
Accese un fuoco e arrostì il Borametz sotto la cenere. Poi lo mangiò e tornò indietro al villaggio. Solo... ora poteva pensare al futuro.
Ora era libero...
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

giovedì 24 aprile 2014

I custodi della storia (VIII capitolo) - Dimitri

Dimitri, smettila di leggere quel libro e vieni a letto!
Le parole di lei non ammettevano replica. Lei lo amava, ma quando usava quel tono non era il caso di contraddirla!
Aveva imparato a conoscerla col tempo. Sapeva fino a dove poteva spingersi e quando invece doveva assecondarla senza discutere. Era tanto ormai che non la sentiva più usare quel tono fermo, eppure quella sera era diverso... dopo anni di ricerche finalmente aveva trovato qualcosa che lo spingeva a replicare.
- Un attimo, cara. Forse ho trovato qualcosa...
Zinaida scese dal letto, indossò una pesante vestaglia da notte e si avvicinò silenziosa alle spalle del marito.
Lui, chino sullo scrittoio intento ad osservare delle vecchie carte geografiche che aveva avuto in prestito da un amico non la sentì arrivare.
Lei gli poggiò le mani sulle spalle con delicatezza e si sporse sopra di lui per capire cosa ci fosse di tanto importante in quelle vecchie carte da spingere il marito a rifiutare un suo invito.
La sua figura snella e slanciata divenne un tutt'uno con quella china del marito. I capelli lunghi e biondi si posarono sulle spalle di Dimitri che quasi non si mosse. Osservava con attenzione spasmodica con l'ausilio di una potente lente una vecchia mappa consunta dal tempo.
- Ti piace il mio nuovo profumo? L'ho acquistato questa sera in centro. Viene da Parigi...
Disse lei con voce sensuale stringendogli le braccia attorno al collo e baciandolo dolcemente sulla nuca.
- Aida mia...
Sospirò Dimitri posando la lente e lasciandosi massaggiare le spalle dalle sue calde mani.
- Ho appena fatto una scoperta eccezionale! Se le cose stanno come penso il tuo profumo preferito la prossima volta lo comprerai direttamente a Parigi.
Disse lui, spegnendo la candela poggiata sullo scrittoio e cedendo alle carezze invitanti della giovane moglie. Lei lo tirò per le braccia verso il letto senza incontrare più alcuna resistenza, fino ad immergersi tra le soffici coperte.
- Domani mi racconterai tutto!
Disse lei stringendolo a sé senza dargli il tempo di rispondere...
Erano sposati da poco più di un anno e si conoscevano da due ma la passione che li aveva travolti non era per niente assopita.
Si erano conosciuti a Tbilisi in un caffè letterario nel quale Dimitri amava sorseggiare il suo tè e comporre versi. Lei era appena diciottenne ed amava la poesia come nient'altro al mondo.
Si erano scambiati uno sguardo ammiccante ed era subito nato l'amore.
Lei aveva appena compiuto diciannove anni e dopo pochi mesi si trovarono sposati.
- Allora, ieri sera mi parlavi di una tua scoperta eccezionale, a cosa ti riferivi?
La domanda era stata repentina ma Dimitri impiegò solo un attimo per riordinare le idee e cominciare a parlare velocemente, come faceva sempre quando era eccitato.
- Ieri sera studiavo una delle vecchie mappe che hai visto sulla scrivania.
Prese fiato un attimo come se cercasse le parole giuste.
- In quella mappa antica vi è un riferimento alla parola greca phoinix, fenicio, con la spiegazione del suo significato. Phoinix viene tradotto generalmente col termine 'rosso', ma a bordo mappa si dice che anticamente voleva dire 'pellerossa'. La scritta è quasi cancellata e io stesso non vi avrei dedicato troppa attenzione se non fosse per quel disegno raffigurante un mostro marino al largo della costa africana. Veramente affascinante...
Disse a voce alta osservando la silhouette della moglie, avvolta in una vestaglia trasparente, per poi riprendere la sua spiegazione.
- Devi sapere, mia cara, che i greci omerici chiamavano con l'appellativo di pellerossa gli emigranti dell'isola di Creta, dove abitavano i Pelasgi, gli Eteocretesi che erano poi i Keftiu egiziani, 'uomini delle Stirpi Marine', affini ai libici nell'Africa Settentrionale, ai Liguri in Italia, agli Iberi in Spagna, alle razze che vivevano lungo tutta la via mediterraneo-atlantica verso l'Oriente. Razze queste che a giudicare dalle pitture murali lasciate nelle sedi in cui abitavano potrebbero essere tardi discendenti neolitici dei Cro Magnon. Rappresentano infatti figure umane 'pellirosse' o rossobronzee, senza barba come i Toltechi e gli Aztechi del Messico precolombiamo. Altre cose cambiano ma il colore della pelle è un indizio stabile per la distinzione delle razze nei millenni: se lo sono i discendenti probabilmente anche gli antenati erano 'pellirosse', del tutto o in parte. Sembra che un riverbero dell'eterno Occidente, del 'Tramonto di tutti i soli', arda sul giovane volto dell'Europa.
Se ciò che penso è vero, questo rappresenta un legame tra le antiche popolazioni europee e gli indiani d'America!
Ecco cosa ho scoperto, forse tutte le popolazioni attuali del mondo hanno un'unica origine: Atlantide. Una civiltà scomparsa dalla faccia della terra e trasformata in mito ma non senza lasciare parte della sua antica popolazione su entrambe le sponde dell'Oceano Atlantico, in America, in Europa e in Africa.
Pensa alla stirpe dei Baschi, chiusa tra i Pirenei, parla una lingua antica e particolare che non somiglia a nessun'altra lingua d'Europa, d'Africa e d'Asia ma che se guardi bene assomiglia assai alle lingue delle razze paleoamericane. Se questa lingua, come molti ritengono, è un frammento salvo per miracolo dell'antichità dei Cro Magnon, è probabile il legame dell'Europa paleolitica con le lingue dell'antica America.
Capisci che questa è una scoperta incredibile?
Zanaida lo guardo dritto negli occhi, afferrò con forza il colletto della camicia da notte attirandolo verso le sue labbra sensuali e trascinandolo a letto ancora una volta.
Carte e mappe soccombettero alla forza vitale dei due giovani sposi...
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

sabato 19 aprile 2014

Bahamuth

La notte stellata del deserto era fredda. Di giorno il sole ti cuoce il cervello, di notte il freddo ti spacca la pelle.
Tutti i giorni di tutti i tempi.
- Mettiti un po di grasso di cammello su quelle ferite, Amir. Disse Hamed al nipote che intirizziva sotto la coperta, accovacciato vicino al fuoco.
- Nonno, quante volte devo dirti che non serve a niente! Sono medico, lo sai, mi occorre solo riposo e un po di cicatrizzante, ma qui nel deserto non se ne trova!
- Fidati di me, fidati di Bahamuth! Metti il grasso e guarirai. Insistette il nonno senza guardare in faccia il nipote.
- Ma figurati. Mi verrà qualche infezione!
- Perchè ti comporti così? Eppure ti abbiamo sempre spiegato le cose, le tradizioni della nostra famiglia sono antiche. Perchè non credi? E mentre parlava un'ombra scura velava i suoi occhi. Era vecchio ed aveva sempre rispettato le tradizioni e si era sempre trovato bene. Perchè questo nipote, il suo preferito, si comportava come un miscredente?
- La nostra famiglia, la nostra famiglia, sempre la stessa storia - aggiunse il giovane stizzito - tradizioni! Ma ti rendi conto di quello che dici? Oggigiorno non vale più niente la tradizione. In chi dovrei credere, in Bahamuth? Ma per piacere! Si voltò dall'altra parte per non vedere le lacrime sugli occhi del vecchio. Sapeva di averlo offeso, ma lui era diverso, non credeva in tutte queste fantasticherie. Aveva studiato, lui.
- Uno di questi giorni Bahamuth verrà a trovarti e dovrai ricrederti. - Il tono era perentorio e non ammetteva replica. Il vecchio si girò di spalle e si mise a dormire.
La notte stellata avanzava e solo lo strisciare di un serpente sulla sabbia o la debole luce dell'est lasciava pensare alla sua fine. Poi un rumore lo destò.
- Chi é? C'è qualcuno? Disse il giovane alzandosi di scatto e afferrando il fucile da caccia preoccupato. - Vieni fuori, chiunque tu sia. - Disse alzando la voce per svegliare il nonno che però non sembrava accorgersi di niente.
- Metti via quell'arma, non serve.
La voce proveniva dalle sue spalle. Era forte e cavernosa, quasi irreale. Come se a pronunciarla non fossero state labbra umane ma le profondità del cielo.
- Ho detto di mettere giù quell'arma, non serve.
L'arma gli cadde dalle mani, senza che potesse far niente per trattenerla. Qualcosa più forte della sua volontà aveva loro comandato di aprirsi ed esse avevano ubbidito.
- Chi sei? E cosa vuoi da noi? Le parole tradivano la sua paura, o forse era il freddo. Le labbra tremavano. Gli occhi cercarono di mettere a fuoco un'immagine sfocata di fronte a lui ma senza riuscirci.
- Chi sono io? Chi sei tu per dubitare! - Le parole furono pronunciate con calma ma senza in alcun modo simulare la loro potenza. Erano parole potenti pronunciate da chi era abituato a far uso di tutta la sua forza. - Chi sei tu, piccolo uomo, per dire a tuo nonno in chi o in cosa deve o non deve credere?
- Ma...
- Zitto! - le labbra gli si chiusero come sigillate dalla colla - Non è ancora il tuo momento.
- Hamed, svegliati! - Disse ora con gentilezza - E' arrivato il tuo momento, andiamo.
Hamed si svegliò e lo guardò fisso, stupito ma felice.
- Bahamuth, sei tu?
- Si, andiamo. - Disse tendendogli la mano.
- Posso salutare il mio ragazzo? Vedo che è qui anche lui...
- Si, puoi. - Rispose Bahamuth.
- Addio figliolo. Decidi tu in cosa credere, decidi tu cosa fare da ora in poi, non ci sarò più io a farti da guida. Ma ricorda sempre che Dio creò la Terra per noi uomini. La poggiò sopra un Angelo e l'angelo su una montagna di rubino. Ma la montagna non aveva sostegno così creò un toro con quattromila occhi, nasi, bocche, lingue e zampe. Il toro non aveva sostegno così creò un pesce, chiamato Bahamuth. E il pesce lo mise nell'acqua e l'acqua nell'oscurità e così il mondo può continuare ad esistere per sempre.
- Nonno...
Il sole era alto in cielo quando Amir si destò.
Si alzò, si spalmò il grasso di cammello sulle ferite e cominciò a scavare una fossa nella sabbia del deserto, dove avrebbe deposto suo nonno...
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

venerdì 18 aprile 2014

Sleipnir

- Sleipnir. Vieni qui, di corsa!

La voce del Dio era potente e cavernosa. Quasi niente aveva di umano. Anzi, niente.
Quando chiamava Sleipnir era possibile sentirlo dalla terra, come il rombo di tuono che preannuncia il temporale.
Sleipnir accorreva di corsa, e con i suoi otto zoccoli possenti sollevava scintille infuocate che finivano sulla terra sotto forma di fulmini, illuminando il cielo con spaventose lingue di fuoco azzurrognolo.
Tutti gli esseri viventi tremavano dalla paura, abbassavano lo sguardo intimoriti di fronte al potere del Dio e si rintanavano nei loro ripari, temendone la collera.
Poi appariva Lui, Odino, possente, saltava in sella scrollandosi di dosso la polvere che ricopriva i suoi abiti e partiva al galoppo di Sleipnir. La polvere cadeva sulla terra con sembianze di grandine, abbattendosi con fragore sulla terra tremante.

- Andiamo Sleipnir, al galoppo! Tuonava Odino dall'alto dei cieli.

Il cavallo, se cavallo si può chiamare un essere al servizio di un Dio, con otto zampe sotto i possenti garretti, partiva al galoppo obbediente agli ordini del padrone.
Sudava bianca schiuma, che appariva sul mare Oceano, sotto forma di spuma leggiadra nei giorni di temporale.

Odino si muoveva nel vasto cielo, che a malapena lo conteneva. Veloce più del vento, potente più del tuono, caldo più del sole, governava l'universo affiancato dal suo cavallo Sleipnir, il fedele.
Il suo pelo folto e grigio, lungo più della chioma delle amazzoni, ondeggiava leggero al vento di primavera.

Sleipnir correva veloce, per aria e per terra e i suoi occhi fiammeggianti aprivano le porte degli inferi.
Odino era il solo a cavalcarlo.

Tutto ciò andò avanti per millenni, fin dal principio dei tempi.
Poi un giorno l'uomo dimenticò tutto. Dimenticò Odino, dimenticò il grigio cavallo, dimenticò il rumore dei suoi zoccoli e il terrore di quelle notti di grandine.
L'Uomo, ormai Dio, costruiì macchine volanti, imitò il rombo del cielo, produsse fulmini infuocati, cacciò Sleipnir e il suo padrone negli inferi dell'oblio.

Ma un giorno Sleipnir tornerà a cavalcare, col suo cavaliere tonante, per terra e per aria e il suo padrone prenderà la sua rivincita sull'uomo ribelle.
 
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

giovedì 17 aprile 2014

Anfesibena

Vivo!

Era vivo, senza sapere perché, senza conoscere il significato della parola. Anche perché i serpenti non parlano. Ma l'essere appena nato non sapeva cosa fosse.

Non sapeva neanche di essere vivo se non fosse perché fino ad un istante prima semplicemente non esisteva.

- Che strana sensazione! Pensò.

Tutto era nuovo e bello, anche se il sentirsi vivo significava soffrire.

Non si trovava a proprio agio con il suo corpo, non lo conosceva. Non sapeva come usarlo, non sapeva a cosa servisse un corpo coì lungo, una pelle così squamosa. Non riusciva a capire perché esisteva, dove si trovava, cosa doveva fare. Sentiva solo una strana sensazione, qualcosa che veniva dal centro del suo corpo. Fame!

Ecco, la sensazione divenne qualcosa di più definito. Era fame. Non mangiava da quando? Forse non aveva mai mangiato prima. Cibo. Dove trovare cibo? La domanda si formava chiaramente nella sua testa... teste! Ecco, andiamo di là... pensò ancora una volta. No, di la... c'è cibo, molto cibo. Lo sentiva da destra, lo sentiva da sinistra. A chi dar retta?

Il corpo sinuoso cominciò a muoversi strisciando sulla terra arida sotto di lui. Il segno del suo passaggio impresso nella polvere era ben evidente.

Il cibo era sempre più vicino e l'essere continuava ad avanzare velocemente, trascinato dal suo istinto di sopravvivenza. Lui non sapeva cosa fosse, ma il suo corpo voleva sopravvivere.

Era appena nato eppure era grande e forte. Sentiva i suoi muscoli tesi fino allo spasimo. Sentiva i suoi pensieri accumularsi alle estremità del suo corpo, vedeva tutto. Davanti e dietro, anche se tutto era molto confuso.

Ricordava... o forse pensava di ricordare qualcosa del suo passato, forse del passato di un altro essere, enorme, crudele, che gli aveva dato la vita.

Medusa si chiamava, ora era Anfesibena, ed era affamato.

Il cibo era sempre più vicino, ne percepiva la presenza attraverso particelle infinitesimali presenti nell'aria. Udiva anche il suo respiro, sempre più forte, sempre più vicino.

Avrebbe spalancato le sue bocche e ingoiato quell'essere intero, ancora pochi istanti e si sarebbe nutrito per la prima volta. L'unico della sua specie.

- Che bestia è mai questa?

Udì le parole distintamente nelle sue due teste, non ne capì il significato ma sentiva il senso di repulsione con cui erano state pronunciate. Sentiva la paura di chi le pronunciava, il ribrezzo. Poi più niente.

- Papà, guarda, un serpente con due teste! Il bambino mostrava orgoglioso la sua preda. Il serpente, con la schiena spezzata nel centro del suo corpo, pendeva, con le sue due teste esangui, dal lungo bastone.

Il bambino sorrideva soddisfatto, aveva catturato la sua prima preda, aveva ucciso per la prima volta!

- Che bella sensazione! Pensò...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

I custodi della storia (Capitolo VII) - Notte insonne

L'agenda cominciava con una data, il due marzo 1988, sei anni prima. In quell'anno io mi trovavo ancora in Sardegna – pensai – e non immaginavo neppure lontanamente come sarebbe stata la mia vita futura.
Cominciava con una nota isolata sulle notizie di un viaggio in terre sconosciute riportato in un testo ormai perduto di Filone di Biblo.
Claudio sembrava credere che alcuni frammenti di quel libro esistessero ancora. La sua convinzione derivava dal fatto che durante una visita ad uno dei soliti mercatini dell'usato aveva trovato un vecchio volume francese del 1836 della Revue des deux mondes in cui si parlava proprio di questo viaggio in un articolo dal titolo: Sulla scoperta d'un manoscritto contenente la traduzione di Sanchuniathon, di Filone di Biblos”.
Non avevo idea di chi fosse Sanchuniaton, nei libri non avevo mai incontrato questo nome a differenza di Filone di Biblo di cui ricordavo che era uno storico greco del primo secolo dopo Cristo ma niente più. Mi sarei informato con calma il giorno dopo presso la biblioteca dell'università.
Poi, di seguito vi era l'articolo tradotto dal francese, pagine fitte di parole, piene di cancellature, ripensamenti e correzioni, come di chi legge e traduce di getto.
Non era facile decifrare quella scrittura ma la curiosità era tanta e il sonno ormai era andato via del tutto. Mi avvicinai al camino per usufruire appieno della tenue luce del fuoco e cominciai a leggere con pazienza.
Se la storia antica, disse uno storico saggio ha subito una perdita sensibile ed in nessun modo recuperabile, è soprattutto a causa della scomparsa degli scritti che trattavano della costituzione delle imprese e delle opere dei Fenici. Tanto questo popolo ha influito sullo sviluppo dell'umanità per le sue invenzioni, per aver stabilito le sue numerose colonie e per il suo commercio immenso, che maggiormente si sente la mancanza che la perdita di questi scritti ha lasciato nei fasti del genere umano.
Tuttavia, malgrado questa assenza totale di documenti originali, il venerabile professore di Gottinga, non avendo come soccorso che pochi dati sparsi tra la Bibbia e gli autori greci e latini, ma guidato da quella coscienza intima che egli ha della vita dei popoli dell'antichità, è riuscito a farci conoscere la situazione politica, costituzione, le colonie fenicie e le rotte che seguiva nel suo immenso commercio, tanto per terra che per mare. Ma che talvolta si rammaricava, nel suo libro, di non avere sotto gli occhi le storie di Dius e di Menandro d'Efeso di cui Giuseppe Flavio ci ha conservato alcuni frammenti, e soprattutto la storia della Fenicia scritta da Sanchuniathon, di cui Eusebio, nella sua Preparazione evangelica, ha citato dei lunghi frammenti che, disgraziatamente, non contengono che la parte cosmogonica dell'opera.”
Mentre leggevo avevo sempre più la sensazione di essermi imbattuto in una storia lunga e complicata.
Claudio doveva avere una conoscenza dell'antichità enorme, cosa che io non avevo. Avrei impiegato anni per acquisire le nozioni utili alla comprensione di tutto i riferimenti presenti in quella sua agenda, ora mia. La cosa però mi dava soddisfazione. Provavo quasi la stessa sensazione che provai da bambino entrando in un nuraghe la prima volta. Le enormi pietre mi sormontavano quasi a volermi schiacciare ma io le sentivo amiche e protettrici. Così l'agenda mi travolgeva con le sue parole, ma io le sentivo stimolanti.
Sarebbe stata una impresa che avevo inconsciamente già deciso affrontare.
“Così egli ha dovuto apprendere con vivissima gioia, ma senza dubbio misto con qualche incertezza, la notizia annunciata da circa sei mesi dai giornali, che la traduzione greca di Sanchuniathon, a cura di Filone di Biblo, era stata ritrovata in un convento portoghese.”
Le parole “convento portoghese” erano evidenziate in giallo come se la cosa avesse grande importanza. Eppure non vi era nessuna nota che mi aiutasse a capire di che si trattasse o di quale fosse il convento. Forse il professore aveva in mente qualcosa che a lui era già noto e perciò non riteneva necessario approfondire ma semplicemente evidenziare la cosa. Ma io cosa potevo fare? Io non sapevo niente di conventi portoghesi! Mi fermai un attimo, posai l'agenda e cercai una matita nel cassetto dello scrittoio. Cominciai a prendere appunti anche io. Cominciai proprio con “cercare informazioni sui conventi portoghesi”. Avrei iniziato una mia agenda parallela. Mi sarebbe stata utile pensai. E aggiunsi: “Cercare notizie su Sanchuniathon”. Quindi continuai a leggere.


La sua gioia e la sua incertezza, sono condivise da tutti gli amici dell'antichità, ma lo scoramento ha subito seguito la speranza quando si è visto che questo annuncio non fu seguito da alcun altro documento, sia sullo stato del manoscritto, sia sul contenuto, sia sul suo futuro editore. Questo terribile silenzio è stato rotto, infine, dalla pubblicazione di un volantino annunciato quale precursore del testo greco di Filone, e dal titolo: “Analisi della storia primitiva dei Fenici secondo Sanchuniathon, fatta sul manoscritto recentemente ritrovato della traduzione completa di Filone”; con delle osservazioni di Wagenfeld. Questo volantino apparso presso Hahn, ad Hannover, contiene inoltre un facsimile del manoscritto e un proemio del dottor G.F. Grotefend, direttore del Liceo di Hannover, conosciuto da lungo tempo nel mondo dei saggi per importanti lavori coi quali si è librato sulle iscrizioni di Persepoli e su quelle della Licia.

Altre cose da approfondire – pensai – e ricopiai i nomi di Wagenfeld e Grotefend, direttore del liceo di Hannover. Forse avrei potuto trovare qualche informazione anche su questi signori, soprattutto se avevano scritto qualcosa di importante.

Cosa dobbiamo pensare di questa pubblicazione? Dobbiamo guardarla come una mistificazione o come un documento serio? Il nome di Grotefend, se non se ne è abusato, come si è abusato questo inverno del nome di Herschell, non consente ancora di vedere in questa brochure l'opera di un falsario? La germania non è la classica terra di questo tipo di soperchierie di cui l'Italia ha dato così tanti funesti esempi. La buana fede, meglio, il candore germanico, non ammette ancora una tale supposizione.”

- Ecco! Ancora una volta emerge lo stereotipo dell'italiano imbroglione e falsario! Già tante volte ho sentito queste parole. Purtroppo anche all'università, dove si trovavano studenti di tutte le nazioni, la cosa era abbastanza risaputa. L'italiano medio era generalmente considerato un imbroglione, falsario e poco affidabile e il comportamento tenuto da certi miei colleghi di studi non faceva certo cambiare idea. Mi era capitato diverse volte di discutere con colleghi stranieri ma di solito mi ero dovuto ritirare di fronte ai troppi esempi concreti. Meglio proseguire nella lettura, pensai a voce alta mentre con gli occhi scorrevo voracemente le righe dell'agenda.

Il fac simile del manoscritto unito alla brochure, è realizzato con una scrittura molto antica, che mostra la mano non di un greco, ma di un uomo dell'occidente; un falsario non avrebbe scelto preferibilmente un carattere di questo genere che avrebbe potuto tradirlo. Dirò di più, un mistificatore il cui scopo sarebbe stato principalmente quello di ottenere una vendita a prezzo elevato, avrebbe cercato di comporre un libro più divertente, avrebbe messo più episodi romanzeschi; difficilmente si inventa la storia completa di un popolo come quello dei fenici, che, ad ogni passo è esposto a tradirci. Ora dobbiamo convenire seguendo l'analisi di Sanchuniathon, la semplicità e la verità della narrazione, le sue coincidenze con la Bibbia, la molteplicità di dettagli, la semplicità con cui i nomi propri si possono spiegare con l'ebraico, tutto sembra annunciare una composizione originale. Per finire, ma questo argomento lo introduco non senza qualche forzatura, l'autore, che fissa l'esistenza di Sanchunuathon al VI sec. A.C., non ha tralasciato di inserire nel suo libro la storia della fondazione di Cartagine e soprattutto il racconto dell'assedio di Tiro da parte di Nabuchodonosor, tanto che si ferma al nono secolo, limitandosi ad indicare gli storici che hanno raccontato gli avvenimenti posteriori. Non si può usare come argomento negativo l'epoca tardiva della scoperta, altrimenti si dovrebbe negare l'esistenza della Repubblica di Cicerone, delle Istituzioni di Gaio, della Cronaca di Eusebio, delle diverse opere di Lido e così via. Non si tratta, d'altronde, della prima menzione che si fa d'un manoscritto di Sanchuniaton. Beck in una nota sulla Biblioteca greca di Fabricius, afferma che esiste un frammento inedito di questo autore presso la biblioteca Medicea a Firenze; egli aggiunge che un terzo frammento è stato raccolto in oriente da Peiresc che lo ha portato a Roma an padre Kircher ma che quest'utimo si rifiutò di pubblicarlo. Infine Leon Allatius ha, se non mi inganno, detto di aver visto con i suoi propri occhi un manoscritto di Filone di Biblo in un monastero nei pressi di Roma.”

Aggiunsi queste informazioni sulla mia agenda, alla voce Sanchuniathon.

Non riuscivo a credere ai miei occhi, più leggevo e più cominciavo a capire l'importanza della scoperta del mio ex professore. In tutti questi anni aveva continuato a insegnare, studiare e viaggiare inseguendo le flebili tracce scoperte per caso in quello che si potrebbe definire un manoscritto ritrovato, anche se incompleto e magari falso. Eppure se Claudio aveva fatto tutto questo, qualcosa di vero doveva pur esserci! Mi segnai nell'agenda anche il nome di Sanchuniathon, non vedevo l'ora di saperne di più su questo storico del VI° secolo a.C.. E chissà chi era questo padre Kircher e Leon Allatius. Quante cose da approfondire mi attendevano. Ma ormai non avevo scelta. Era una sfida che avevo già accettato.

“Il solo argomento negativo che ha qualche senso è l'assenza di qualunque informazione precisa sul manoscritto che si pretende sia stato scoperto nella penisola spagnola. Ma se è vero, come si dice, che questo libro proviene da un convento portoghese che fu saccheggiato ai tempi della spedizione di don Pedro contro suo fratello, e che è stato portato in Germania da un ufficiale di Hannover, si può capire perché si esiti a citare i nomi propri. Opinioni molto differenti sono già state emesse su questa scoperta. Noi sappiamo, dall'Athenaeum del 25 luglio scorso, che il saggio Gesenius, il più celebre di tutti gli studiosi ebrei della germania, Gesenius, che ci promette la spiegazione prossima delle iscrizioni fenicie rispettate dal tempo, si è pronunciato in favore dell'autenticità del manoscritto del quale il signor Wagenfend ha appena pubblicato l'analisi. E' anche vero che secondo lo stesso giornale il signor Wilken, lo storico delle crociate, si è pronunciato in senso negativo, ma qualunque sia il rispetto che merita l'opinione del signor Wilken, in questa materia quella del signor Gesenius dovrebbe sorpassarla.

Ecco ancora un personaggio da approfondire, Gesenius, e da come se ne parlava doveva essere molto famoso, non sarebbe stato difficile trovarlo.

Noi dobbiamo aggiungere che, se dobbiamo credere all'articolo dell'Athenaeum, il signor Grotefend ha pubblicato la seguente nota sul libro del signor Wagenfeld: “Per prevenire l'intenzione laddove si potrebbe fare (...) di tradurre quest'opera in altre lingue”

Perché? Perché impedire la traduzione in altre lingue? Perché questo accanimento contro una possibile scoperta epocale? Si chiedeva il professore per poi riprendere immediatamente la traduzione. In effetti era uno strano comportamento ma era ancora presto per prendere posizione.

“io credo che sia mio dovere il dichiarare pubblicamente e senza perder tempo, che dopo le informazioni raccolte fino ad ora, io sono moralmente convinto che l'estratto di Sanchuniathon non è altro che un ingegnoso falso. E io faccio questa dichiarazione senza attendere alcuna ricerca che richiederebbe troppo tempo; perché, anche supponendo che alla fine il risultato dimostrasse che questa dichiarazione non sia fondata, la stessa sarà sufficiente sin da ora per impegnare il signor Wagenfeld a difendere il suo onore dando prova della sua onestà".

Ma, a primo acchito, questa nota difficilmente può essere opera del signor Grotefend.

Come! O egli è stato crudelmente falsificato, oppure si è slealmente abusato del suo nome ed egli si limita a qualificare l'opera come "ingegnosa finzione"; e questa dichiarazione per parte sua non ha altro scopo che di impedire la traduzione della brochure in altre lingue straniere! Ma, nell'uno o nell'altro caso, chi non avrebbe cominciato per schiacciare il falsario sotto il peso della giusta indignazione, senza preoccuparsi se delle traduzioni in altre lingue avrebbero potuto contribuire a propagare l'errore? Se la nota sull' Athenaeum è del signor Grotefend, potrebbe darsi che sia stata snaturata dal traduttore inglese, sia involontariamente, sia a causa di un interesse personale, queste erano le riflessioni che suggerivano all'autore di questo articolo una tale complicazione di incidenti e di dubbi, quando ha ricevuto la lettera seguente del signor Grotefend, al quale si era indirizzato per eliminare le proprie incertezze. (Hannover, 18.8.1836)

A questo punto la scrittura si faceva più fluente.

Era come se Claudio avesse ora una marcia in più nella traduzione, forse aveva trovato qualcuno che lo aiutava, magari uno studente come me che conosceva il francese. Purtroppo non c'era nessun riferimento in proposito. Comunque vi erano sempre meno cancellature e la traduzione era più chiara e anche i termini utilizzati erano più attinenti all'argomento di cui si parlava.

“Signore,

poco tempo dopo aver raccomandato ai saggi l'analisi della traduzione di Sanchuniathon a cura di Filone di Biblo, che si pretende aver scoperto recentemente, mi sono convinto che l'autore di questa analisi non è che un mistificatore e mi sono ritrovato nella necessità di esprimere pubblicamente i miei dubbi sulla autenticità della sua scoperta. E' vero che esistono tanti motivi a sostegno dell'autenticità dell'opera che gli uomini più attenti possono difficilmente trovare materia per dubitare. Ma come tutto ciò che è apparso su questo soggetto al pubblico dal signor Wagenfeld, un insigne mistificatore, e siccome nessuno fino ad ora ha potuto esaminare il manoscritto, si è autorizzati a dubitare della sua autenticità, se non del tutto, almeno su molti dettagli. Si è d'altronde ancor più lontani dall'attendersi una simile soperchieria da parte di un giovane uomo candidato in teologia e filosofia a Brema, che l'amore per la verità è il tratto caratteristico dei tedeschi. Ma purtroppo il signor Wagenfeld ha così poco amore per la verità che mi sono visto obbligato a rompere tutte le relazioni con lui. I dubbi che ho espresso sui giornali non avevano altro scopo che il metterlo con le spalle al muro, al fine di arrivare almeno a qualche certezza. Questo ha avuto come risultato di costringerlo a trattare con la libreria Schunemann, a Brema, per la stampa dell'originale greco. Ma disgraziatamente si dubita ugualmente dell'autenticità di questo originale. Ed anche ammettendo che questo testo greco abbia avuto per base un antico manoscritto non è possibile prendere per argento sonante ciò che viene da un uomo che, come il signor Wagenfeld, è noto che per il piacere di imbrogliare il pubblico, non teme di far ricorso all'impostura.
G.F.Grotefend.
Chissà cosa accadde tra Wagenfeld e Grotefend per giustificare parole così pesanti! Forse la mia curiosità sarebbe stata soddisfatta più avanti. Mi fermai un attimo e guardai il vecchio orologio appeso sul camino. Erano le tre e la mattina mi sarei dovuto alzare alle sette per andare al lavoro. Poi avevo lezione dalle undici e trenta alle quindici, quindi di nuovo in portineria fino alle venti. Era stata una giornata intensa ed eccitante, l'agenda aveva portato nella mia vita un pizzico di mistero, ma ora era arrivato il momento di riposare, avrei proseguito con calma il giorno dopo.
Alesssandro Giovanni Paolo RUGOLO

martedì 15 aprile 2014

A Bao A Qu...

Era appena sorto il sole e l'uomo aveva ripreso a muoversi, quasi impercettibilmente.
 
Era forse l'unico sopravvissuto, l'ultimo della sua razza, sterminata da una tribù di nomadi che per un caso aveva scelto la loro vallata per spostarsi appresso al proprio bestiame. Non avevano nient'altro che il bestiame e le armi e dove passavano lasciavano una scia profonda di pianti, urla e sangue.
Il suo villaggio non esisteva più, la sua capanna era un cumulo di cenere. i suoi figli erano carne insanguinata per cani randagi. E di lui non restava molto, forse qualche ora di vita, forse qualche giorno di dolore e pianto per i suoi cari.
 
Cominciò a strisciare, trascinandosi affannosamente sul terreno, nutrendo la terra secca col suo sangue. Si trascinò fino alla scala a chiocciola che dava accesso all'antica torre in pietra, spinto dalla forza della vita che se ne va.
La mano destra sentì il freddo del primo gradino della scala a chiocciola.
 
Una sensazione strana pervase il suo corpo, la sua anima ridestata.
 
Il freddo della pietra lo risvegliava dal suo torpore.
Senza sapere come, senza più pensare alle ferite che lo dissanguavano, si alzò in piedi e salì il primo gradino. La sua anima piangeva per la morte della famiglia, per la distruzione del villaggio, per la fine di una stirpe.
Sentì la forza rianimare il suo corpo, salì il secondo gradino quasi senza accorgersene. La striscia di sangue era dietro di lui, rossa, quasi color della seta... splendente sotto il riflesso del sole nascente.
 
Un debole fruscio gli ricordava la vita, una sensazione potente di vita percorreva il suo corpo freddo da tanto tempo immobile.
 
Il piede avanzò sul terzo gradino. Solo i sacerdoti percorrevano una volta all'anno quella scala, solo loro avevano la forza di farlo, ma i sacerdoti erano morti, tutti!
 
Piccole zampe, come un millepiedi, sorgevano dalla fredda pietra per afferrare il bordo del gradino, seguivano le tracce del sangue fresco, cercando di sentire l'anima morente di colui che si trascinava lungo la scala. Una forza straordinaria, carica di sentimenti, di orrore, d'amore.
 
Il quarto gradino, poi il quinto, il sesto, il settimo... uno dietro l'altro.
 
Il freddo si faceva sempre più intenso, il ricordo dei figli massacrati solo poche ore prima gli offuscava la vista e gli spezzava il cuore ancora una volta. Eppure non sentiva odio per coloro che avevano compiuto un simile massacro ma solo compassione. Compassione per uomini che erano bestie, non per colpa loro.
 
La scala a chiocciola sembrava animarsi di vita propria, i gradini davanti a sé lo chiamavano. Le forze gli venivano meno, il sangue scorreva dalle sue ferite ma lui proseguiva senza sosta. Ancora pochi passi.
 
la sua anima prendeva corpo dopo tanti secoli. Nessuno l'aveva più trascinato fino a quel punto da... quanto tempo? Non ricordava... secoli, millenni forse.
Eppure quest'uomo aveva una forza incredibile, stava morendo ma proseguiva la sua ascesa senza un pensiero negativo. La sua anima era forte e splendente.
A Bao A Qu prendeva vita,forte e splendente, ancora una volta dopo tanto tempo.
 
L'uomo moriva sulla scala, senza sapere perchè, felice di raggiungere i suoi cari appena scomparsi, lasciando sull'ultimo gradino un fiotto di sangue denso e il pensiero di un futuro radioso per tutta la sua Terra, sotto il sole nascente di un giorno qualunque...
 
 
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 13 aprile 2014

I custodi della storia (Capitolo VI) - Dentro la piramide

L'eco della pietra che cadeva lungo lo stretto corridoio si poteva seguire da lontano. Sicuramente il corridoio si inoltrava all'interno della piramide mantenendo una pendenza molto forte.
Andrea il carpentiere era appena arrivato, accompagnato da altri due uomini di rinforzo mandati dal Capitano.
Si fermò giusto il tempo necessario per bere un po' d'acqua e poi seguì il nostromo e frate Nicola che precedendolo gli indicavano il foro a metà altezza nella parete della grande piramide. Andrea salì su per la parete senza un attimo di esitazione allenato dal suo lavoro quotidiano di controllo degli alberi del vascello e raggiunto il foro vi aveva gettato una pietra per cercare di capire dal rumore cosa lo attendesse. Si girò verso i due compagni e disse di essere disposto a provarci.
- Certo, si può fare. Entrerò con la testa in avanti e voi mi reggerete con due corde così se occorre potrete tirarmi fuori da quel buco! Disse Andrea senza un attimo di esitazione.
I preparativi furono veloci e qualche minuto dopo Andrea si introduceva strisciando come un serpente nelle fredde viscere della piramide. In mano reggeva una piccola lampada ad olio legata ad una corda che reggeva con la mano sinistra e che gli avrebbe consentito di vedere davanti a se. Nella mano destra reggeva un lungo coltello, in caso di brutti incontri.
- Ora calatemi lentamente! Disse rivolto ai compagni che reggevano le corde.
 
Dopo pochi metri lo stretto cunicolo voltava a destra sottraendo il giovane carpentiere alla vista dei suoi compagni.
 
- Quaggiù il cunicolo si allarga! – Urlò Andrea una volta raggiunta una solida base – qui si può avanzare camminando in piedi. Proseguì lungo il corridoio tirandosi dietro le corde. Il corridoio aveva una forma trapezoidale ed era realizzato con pietre enormi perfettamente squadrate. Su ogni lato si aprivano degli altri corridoi più stretti che probabilmente servivano a distribuire l'aria fresca nei locali più interni. Andrea avanzava sicuro reggendo in alto la lampada e osservando ogni particolare per poterlo poi descrivere quando fosse uscito. Dopo circa una decina di metri notò alla sua destra all'altezza della sua faccia una pietra sporgente lavorata a forma di uccello, con una grossa sporgenza a forma di becco. La superficie era ricoperta da una specie di sostanza rossastra e gli occhi erano fatti in pietre dure, incastonate nella roccia con maestria, di particolare fattura e di colore giallo. Usò il coltello per estrarre le pietre pensando potessero avere un qualche valore e le mise in tasca. Le avrebbe consegnate a Vadino che avrebbe saputo ricompensarlo. Purtroppo il cunicolo terminava poco più avanti con una enorme lastra verticale che probabilmente era crollata da parte del soffitto. Impossibile proseguire. Un odore fetido, come di carcasse di animali riempiva l'ambiente. Forse il crollo aveva intrappolato qualche animale che ora si decomponeva lentamente. Si voltò e ripercorso il cunicolo all'indietro chiamò i compagni perché lo tirassero fuori.
Qualche minuto più tardi si trovava nuovamente all'aperto con i compagni che lo attorniavano.
 
- Signor nostromo, ho trovato queste pietre, erano gli occhi di una specie di testa d'uccello scolpita nella roccia. - Disse, porgendo le pietre a Vadino. E proseguì nella descrizione accurata di ciò che aveva visto e della impossibilità di usare quel passaggio per proseguire l'esplorazione. Occorreva trovare un altro ingresso.
- Bene Andrea, tieni queste monete. Ottimo lavoro. Disse il Nostromo lanciandogli tre monete d'oro. In certi casi occorre essere generosi, la fedeltà va sempre premiata. Pensò Vadino.
Il carpentiere prese le monete e ringraziò per la generosità.
L'impossibilità di proseguire l'esplorazione della piramide non significava niente. Avrebbero controllato i dintorni alla ricerca di altre informazioni. La giungla era fitta e di tanto in tanto emergevano dalla vegetazione delle grosse pietre che sembravano lavorate dalla mano dell'uomo. Se la fortuna li avesse assistiti avrebbero potuto trovare qualche altra cosa. Vadino aveva ancora due giorni di tempo e non intendeva certo starsene con le mani in mano ad aspettare che il caso o la fortuna bussassero alla porta. I suoi genitori gli avevano insegnato che la fortuna occorre cercarsela da sé e lui la pensava esattamente allo stesso modo.
Chiamò tutti gli uomini a rapporto e organizzò le ricerche per la giornata. Due di loro sarebbero restati al campo con l'incarico di controllare che non si avvicinassero troppo le besti che avevano sentito la notte precedente. Gli altri divisi in gruppi da tre avrebbero esplorato l'area circostante alla ricerca di altre costruzioni.
 
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

domenica 6 aprile 2014

I custodi della storia (Capitolo V) - L'agenda

Era un mercoledì sera, intorno alle diciotto, quando un corriere espresso suonò al campanello del condominio in cui lavoravo.

Andai ad aprire, il ritiro della posta faceva parte dei miei compiti. Avevo la delega per il ritiro della corrispondenza di quasi tutti i condomini.

- C'è un pacco per Alessandro Ruvolo.

Mi disse il corriere porgendomi la penna per la firma senza neanche guardarmi in faccia.

- Forse intende dire Rugolo. Sono io

Risposi un po' stupito.

Non avevo ordinato niente e non era periodo di feste per ricevere il pacco regalo che i miei mi mandavano sempre per natale.

Firmai e mi assicurai che il corriere uscendo chiudesse il cancello.

Si trattava di un pacchetto confezionato artigianalmente con la vecchia carta per pacchi e legato con spago di pessima qualità.

Nessun mittente, solo un francobollo da due dollari con la scritta Guyana. Un bel francobollo con ritratto un dipinto di Velazquez e un timbro che non lasciava dubbi. Il pacco era stato spedito dalla città di Cayenne, nella Guyana francese.

Non conoscevo nessuno in quella parte del mondo. Chi poteva avermi spedito un pacco?

Dalla consistenza e dimensione doveva trattarsi di un libro. Lo scartai velocemente e il mio stupore fu grande quando mi resi conto che tra le mani stringevo l'agenda del mio ex professore di storia antica, Claudio.

Come era possibile? Lui era morto un mese prima nell'incidente aereo del volo Orlando – Milano. Da dove saltava fuori l'agenda? L'unico che avrebbe potuto spedirmela era proprio lui ma per quale motivo avrebbe dovuto farlo?

Ero curioso e le domande mi si affollavano nella testa.

- Alessandro, è arrivata posta per me?

Trasalii. La voce dell'avvocato mi colse totalmente di sorpresa e dovetti darlo a vedere.

- Scusa, non volevo spaventarti. Chiedevo se fosse arrivata della posta per me, oggi. Sto aspettando un plico urgente da Roma. Se dovesse arrivare puoi avvisarmi subito? Sono nel mio studio.

- No, mi spiace. Niente posta per lei avvocato. Se dovesse arrivare qualcosa entro le otto glielo porto io prima di andar via.

L'avvocato Giorgetti mi salutò con un sorriso e imboccò la strada delle scale. Nonostante il suo studio si trovasse al quarto piano e vi fosse l'ascensore preferiva salire a piedi, diceva che faceva parte della sua attività per allungare la vita.

Per evitare ulteriori problemi posai l'agenda del professore nel mio zaino e ripresi il mio lavoro al gabbiotto. A casa avrei avuto tutto il tempo per cercare di capire come mai il professore mi avesse mandato la sua agenda per posta e magari sarei riuscito a capire cosa fosse andato a fare nella Guyana francese!

Stavo per chiudere il gabbiotto della portineria quando suonò nuovamente il campanello. Si trattava di un fattorino che mi consegnò il plico per l'avvocato. Lo presi in consegna. Firmai e presi l'ascensore per il quarto piano. Bussai alla porta dell'avvocato. Mi aprì lui personalmente e mi invitò ad entrare. Rifiutai cercando di non essere scortese, l'avvocato era sempre stato molto premuroso nei miei confronti ma quella volta avevo fretta di tornare a casa.

Mi chiese se era tutto a posto, offrendomi il suo aiuto, se necessario. Mi chiese se ci fosse qualcosa che mi preoccupava, disse che sembravo un po' strano, quasi assente.

- Le chiedo scusa avvocato. In effetti oggi è successo qualcosa di strano ma non sono preoccupato, solo stupito.

- Vuoi raccontare anche a me cosa ti è successo? Mi chiese con benevolenza. Sin dalla prima volta che mi aveva conosciuto, quando mi ero presentato per avere il lavoro, era sempre stato con me quasi come se fosse stato un mio anziano parente. Gli dissi che il giorno dopo sarei passato da lui sul tardi, se non aveva impegni, e gli avrei raccontato tutto. Adesso era un po' tardi e dovevo passare all'università per ritirare un libro da alcuni amici. Era una scusa banale, me ne rendevo conto, ma non avevo proprio voglia di parlare. Forse il giorno dopo gli avrei raccontato qualcosa, o forse no. Avevo uno strano presentimento e preferivo evitare dell'agenda del mio professore.

Salutai e andai via.

Rientrai a casa in metropolitana. Da quando avevo lasciato la casa dello studente, due anni prima, abitavo in periferia in una zona di Milano ben servita dalla metro. Avevo trovato una mansarda piccola ma accogliente in una palazzina di tre piani che si affacciava in un piccolo parco. Anche per questo dovevo ringraziare l'avvocato. Mi aveva consigliato lui di lasciare la casa dello studente, diceva che era una cosa per ragazzini e io ero cresciuto ormai. Mi aveva fornito un elenco con i nomi di alcuni amici che affittavano appartamenti. Mi disse di andare a suo nome, mi avrebbero trattato bene.

In effetti così era stato. La mansardina mi piacque subito. L'arredamento era essenziale ma funzionale. C'era tutto quello che poteva servirmi. L'ambiente era caldo e accogliente e io avevo aggiunto all'arredamento quei segni distintivi della mia persona che mi portavo appresso sin da piccolo, i miei libri, alcune foto della famiglia e una vecchia maschera in legno tipica della cultura sarda, un mamuthone.

Nella stanza grande, con il letto in ferro da una piazza e mezza che occupava la parete interna si trovava anche una bella libreria e un piccolo scrittoio che usavo spesso per studiare e tra i due vi era un camino, che a Milano non era certo la norma, in cui spesso accendevo il fuoco. Un cucinino, il bagno e un ripostiglio a muro completavano il mio piccolo mondo di trenta metri quadri. Per ora andava più che bene. Il camino era stato decisivo. Non appena lo vidi presi la decisione, senza neanche visitare altri appartamenti.

Quella sera accesi il fuoco e mi preparai due salsicce alla brace per cena. Le fiamme rosse della legna avevano su di me uno strano potere rilassante. Aprii la finestra che dava sul parco, aveva smesso di piovere da poco e l'odore dell'erba bagnata era molto forte.

Mi sdraiai a letto e finalmente presi l'agenda dal mio zaino.

La girai alcune volte tra le mani quasi volessi assicurarmi che fosse reale poi slegai il cordoncino che la teneva chiusa. Era un'agenda artigianale, con la copertina in pelle rossa lavorata a rilievo. Vi era impresso il disegno di un uccello che assomigliava ad un pavone o ad un qualche altro uccello esotico dalle piume lunghe e vaporose, forse una leggendaria fenice. Aprii l'agenda e mi tuffai nella lettura.

Nella prima pagina vi era nome, cognome e numero di telefono del proprietario, ora non avevo più dubbi, l'agenda era appartenuta al mio ex professore.

Senza un particolare motivo la aprii verso le ultime pagine e cercai l'ultima pagina scritta. In alto a destra vi era la data del 15 marzo, quattro giorni prima dell'incidente aereo in cui era morto. Al centro della pagina solo poche parole scritte velocemente.

Alessandro, se dovesse accadermi qualcosa leggi queste ultime pagine e capirai. Decidi tu che fare. Ho fiducia in te. In bocca al lupo!”

Non sapevo più cosa pensare. Quella notte non andai a dormire.

La luce della camera restò accesa fino a tardi e mentre le fiamme del camino spandevano le loro ombre soffuse sulle pareti io leggevo quelle pagine piene zeppe di appunti, disegni e note.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO