venerdì 24 gennaio 2014

Licaone... empio sovrano d'Arcadia


"... si narra che i Giganti aspirarono ad impadronirsi del regno celeste e che ammucchiarono i monti innalzandoli fino alle stelle..."1.

I Giganti. Esseri mitologici o realtà?

Questo era il titolo della conferenza che avrei dovuto tenere il prossimo sabato all'Accademia delle Scienze.

Ovidio diceva che la stirpe umana nacque dalla terra bagnata dal sangue dei giganti, schiacciati sotto le montagne che loro stessi avevano sollevato. Per questo motivo la stirpe umana era così cattiva, crudele e assetata di sangue che: “divenne sprezzante degli dei e avidissima di strage spietata e violenta".

Così Giove, proseguiva Ovidio, "quando vide tali scelleratezze dall'alto dei cieli se ne dolse e, ripensando ai ributtanti banchetti della reggia di Licaone, imbanditi di recente e per questo non ancora divulgati concepisce nell'animo un'ira tremenda e degna di lui e convoca un concilio..."

Stupidaggini per creduloni, tutte queste storie, però ottime per introdurre l'argomento della conferenza ovvero l'esposizione degli ultimi ritrovamenti avvenuti durante gli scavi di una antica città ritrovata ai piedi del monte Olimpo. Città ancora senza nome, almeno per ora.

"Pensate forse, o dei superni, che essi non corrano pericoli?

Dal momento che Licaone, noto per la sua ferocia, ha teso insidie a me, che pure sono armato del fulmine e tengo voi sotto il mio potere?"

Così Giove apostrofava gli dei prima della punizione.

Per gli uomini fu l'inizio della fine, fu il Diluvio. E questa città sembrava proprio distrutta dal Diluvio, quello di Noè del Vecchio Testamento, che il Censorino chiama Diluvio di Ogigia, avvenuto probabilmente intorno al 2376 a.C.

Mi tornavano in mente brani del discorso che avevo scritto per l'apertura della conferenza.

Poi, in diretta dal luogo degli scavi, si sarebbe proceduto all'apertura di uno splendido sarcofago in marmo e oro, ultimo ritrovato. Il sarcofago risaliva almeno al 2000 a.C. e dalle incisioni rinvenute sembrava proprio contenere i resti di Licaone, l'empio sovrano d'Arcadia.

La procedura di apertura avrebbe richiesto circa due ore durante le quali io avrei intrattenuto il pubblico con la storia di Licaone.

E' arrivato il momento di capire di cosa è accusato Licaone per aver provocato l'ira degli Dei: in un immaginario tribunale chiamiamo così a testimoniare Giove:

"L'ignominia del tempo era giunta alle nostre orecchie, augurandomi che essa non fosse vera, scendo dal sommo Olimpo e, pur dio, esploro le terre sotto sembianza umana. Sarebbe lungo descrivere quanta malvagità abbia trovato in ogni luogo: la cattiva fama era inferiore al vero".

Giove attraversò la terra di Arcadia.

Mandò un segno per annunciare il suo arrivo e il popolo cominciò a pregare ma non Licaone che al contrario deride chi prega!

Empio com'era, non contento di deridere gli uomini, decide di mettere alla prova il re degli dei.

"Proverò di sapere, con un esperimento palese, se sia un dio o un uomo".

Questo pensa Licaone, e si prepara ad uccidere il Padre degli dei nel sonno. Ma la sua crudeltà non ha limiti e così decide di servire al suo ospite cibo umano quindi, sgozzato con la spada un ostaggio mandato dai Molossi, getta nell'acqua bollente parte delle membra e parte le abbrustolisce al fuoco.

Giove, quando gli venne servito il banchetto, riconobbe Licaone colpevole e fece crollare la sua casa. Licaone scappò e raggiunta la campagna

"comincia ad ululare e invano tenta di parlare; la bocca raccoglie da lui stesso la rabbia e sfoga la brama della strage, per lui abituale, sugli armenti, e ancora oggi gode del sangue. La veste si muta in un vello, le braccia in zampe; diventa lupo e mantiene le tracce dell'antico aspetto; identico il colore grigiastro, identica la ferocia del volto; guizzano minacciosi gli stessi occhi, immutata l'aria di crudeltà".

Questa è la punizione di Giove per Licaone, ma è solo l'inizio. Giove e il consiglio degli dei si apprestano infatti a distruggere la stirpe umana con i fulmini ma poi cambia idea e opta per "distruggere la stirpe dei mortali con un'inondazione e mandare un diluvio da ogni parte del cielo".

Il Diluvio distrusse la stirpe umana e il ricordo viene conservato sotto forma di racconto morale nella cultura greca antica.

Naturalmente a questo punto avrei dovuto passare la linea al responsabile degli scavi per procedere all'apertura del sarcofago, sperando che oltre alle ossa, probabilmente ridotte in polvere, ci fosse qualche tesoro la qual cosa avrebbe sicuramente fruttato maggior notorietà e chissà quante conferenze in giro per il mondo!

Ancora due giorni al grande momento. Ma per ora solo seccature burocratiche da adempiere per l'apertura del sarcofago e stupide email cui rispondere. Meglio rientrare a casa visto come s'era messo il cielo. Non vorrei che venisse giù un altro diluvio mentre sono per strada, pensai.
-Certo che la gente non ragiona proprio. Siamo nel 2014 dopo Cristo è c'è ancora chi crede nelle favole!

Senza volerlo, mentre leggevo l'ultima email, avevo parlato a voce alta. Ma che dire di fronte a simili assurdità?
-Un rispettabile professore Universitario!
Ecco cosa mi mandava ancora di più in bestia. Un Professore Universitario, membro dell'Accademia delle Scienze, mi invitava a fare attenzione all'apertura del sarcofago perché vi era una antico sortilegio collegato che sicuramente era ancora efficace nonostante il tempo passato, e mi invitava a mettere in campo un contro incantesimo trovato in non si sa bene quale libro, per evitare al mondo una nuova e più terribile punizione.

Avrei potuto capire se una cosa del genere fosse arrivata da un sacerdote di una setta esoterica, ma da un Professore Universitario era una cosa inconcepibile!

Non meritava neppure risposta.
Con un gesto nervoso etichettai l'email come spam e inserii il mittente tra gli indesiderati. Almeno non avrei più dovuto leggere le sue stupidaggini.

Andai a dormire tardi, come ormai era abitudine negli ultimi mesi. Afferrai un libro dalla libreria con l'intenzione di leggere qualche pagina per conciliare il sonno, senza fare troppa attenzione al titolo e mi infilai tra le coperte.

Aprii il libro in una pagina a caso, senza neanche guardare la copertina e cominciai a leggere:

Si narra che gli antichi Arcadi venerassero Pan, dio delle greggi; egli era sopratutto presente sui monti d'Arcadia”

-Ecco, lo sapevo, tra tanti libri che possiedo, proprio Ovidio dovevo prendere stasera!

Ne sarà testimone il Foloe, lo attestano le onde dello Stinfalo e il Ladone che con le sue veloci acque corre al mare e le alture del bosco di Nonacris cinte di pini, e l'albero Cillene e le cime nevose della Parrasia. Là Pan era nume tutelare di armenti e cavalle e riceveva offerte votive per non distruggere le greggi. Un solo giorno al mese avrebbe mangiato a sazietà nutrendosi del loro sangue...”

Ma no, Ovidio non diceva questo! E poi Pan era un protettore, non un demone sanguinario. Vediamo chi ha scritto simili stupidaggini...

Solo in quell'istante, rigirando il libro tra le mani, mi resi conto che si trattava di un libro antico che non avevo mai notato prima. Non era la prima volta che mi capitava. Spesso compravo pacchi di libri ai mercatini, li lasciavo sul tavolo del salotto ancora incartati e impolverati. Poi la mia domestica li puliva e li riponeva in ordine sulla libreria. Così doveva essere accaduto anche per questo volume.

Dalla prima pagina si capiva che era stato stampato a Torino nel 1647, il titolo recitava “Ovidio ritrovato, opera completa, tradotta dal Signor Marchese de Mourillac, esperto di lingue antiche”. Mai sentito prima...

Aprii nuovamente il libro qualche pagina più avanti e continuai a leggere incuriosito.

Chi aveva allora supposto l'esistenza delle Iadi o delle Pleiadi, le figlie di Atlante dalle forti spalle?

O dei due poli, sotto la volta celeste? E che vi fossero le due Orse: la prima, Cinosura è usata dai fenici per orientarsi; la seconda, Elice, dai greci. Chi l'avrebbe mai immaginato?

E che i cavalli di Febe in un solo mese percorressero le stesse costellazioni che il fratello, Febo, impiegava un anno intero?

Liberi e inosservati correvano gli astri durante l'anno, ritenuti quasi da tutti potenti divinità. Non tutti gli antichi conoscevano i percorsi delle stelle nel cielo, non tutti adoravano come dei ciò che non era altro che Terra, Luna o Sole. Per i Maghi Caldei queste cose erano chiare, il percorso delle stelle parlava loro, mostrando pericoli imminenti e lontani. Spiegando le leggi della Natura. Ponendo l'Astro al centro del mondo e dispiegando le ali di Morte...”

Chiunque fosse questo Marchese de Mourillac, doveva avere una fervida fantasia, oppure doveva aver trovato una versione dei Fasti di Ovidio sconosciuta al mondo intiero. La teoria eliocentrica non era certo nuova. Ai tempi di Ovidio diversi autori ne avevano già parlato in precedenza ma non avevo mai letto che i Caldei la conoscessero.

gli dei superni, sterilizzavano la Terra dalla peste dell'Uomo, per mezzo del fuoco o dell'acqua. Oppure, in casi speciali, per il tramite dello spirito Pan, capace di incarnarsi nel corpo di un uomo terribile. L'ultimo della sua specie fu Licaone, re possente d'Arcadia. Non resuscitate la sua anima, non disturbate il suo riposo...”

Questa è proprio forte! Meglio lasciar perdere questo libro. Domani sarà una giornata lunga e devo essere ben sveglio.

La notte passò con tranquillità nonostante il temporale non accennasse a placarsi. Era già da due giorni che la pioggia veniva giù senza interruzione e in tv non facevano altro che parlare di incidenti, frane e fiumi che avevano raggiunto gli argini. Mi alzai per accostare le tende, i lampi continuavano a illuminare a giorno la città, inconsapevoli del fatto che il servizio meteo avesse previsto miglioramenti su tutta la regione per l'indomani.

Mi alzai, feci una doccia calda e andai a lavorare presto.

A pranzo avevo un appuntamento di lavoro con il responsabile delle riprese video dell'Accademia delle Scienze. Volevo essere sicuro che tutto fosse pronto per la sera. Alle 18.00 si cominciava e non potevo permettermi errori. Dopo il panino e il caffè infilai la mano nella borsa per cercare l'agenda in cui avevo preso alcuni appunti nei giorni precedenti. Con mio stupore estrassi il libro di Ovidio che avevo letto la sera prima. Sicuramente l'avrò infilato in borsa questa mattina senza accorgermene, pensai.

Dopo pranzo avevo una riunione con il responsabile dell'accoglienza degli ospiti e poi feci una visita veloce nella sala. Tutto sembrava in ordine, non restava che aspettare le 18.00.

Il temporale sembrava non dar tregua.

Il cielo era nero e solo i lampi, di tanto in tanto, illuminavano le nuvole. Un brutto temporale, pensai. Sarebbe passato prima o poi.

Potevo riposare una mezz'ora. Ne sentivo proprio la necessità.

Mi sedetti nella poltrona del mio ufficio e presi il libro che avevo nella borsa, volevo dare un altro sguardo all'introduzione. Chissà che non ci fosse qualche notizia interessante sull'autore.

-Come si chiamava? de Mourillac, se non ricordo male!

Nell'introduzione non si diceva altro sull'autore. I soliti ringraziamenti al re di Spagna e alla sua gentile consorte, tipico dei libri di quel periodo, una pagina in cui vi era l'autorizzazione ecclesiastica alla pubblicazione e niente di più. Doveva trattarsi di una edizione economica, o magari pirata, a bassa tiratura.

La copertina era anonima, in cartone rivestito di tessuto verde. Molto consumato. Rilegato a mano senza troppa attenzione. Le pagine erano di carta molto grossa e alcune erano incollate dall'umidità e dal tempo.

Dal mio terminale potevo accedere ai testi delle principali biblioteche del mondo, una ricerca su questo de Mourillac mi avrebbe forse dato qualche informazione in più sulla strana edizione di Ovidio che mi trovavo tra le mani.

O almeno così pensavo. Il motore di ricerca non restituì nessuna informazione. Il Marchese de Mourillac semplicemente non esisteva, almeno non come autore di testi del 1600.

Aprii nuovamente a caso e lessi:

Per molti anni durò tale stato del cielo, finché il dio più antico fu deposto dal suo regno. La Terra allora partorì con dolore i Giganti dalle forti membra, terribili mostri, che avrebbero osato assalire il regno di Giove, in cielo.

Lì fece col il ferro ed il fuoco, enormi alla vista. Serpenti di fuoco uscivano dai mostri, mentre questi si sollevavano minacciosi verso il cielo, regno di Giove. Movete guerra agli dei, urlava Licaone. Essi si preparavano a percorrere le immense distanze tra la Terra e il regno di Giove ma il padre degli dei, che tutto sapeva, li precedette, scaraventando sulla Terra ordigni di fuoco, portando morte e distruzione e seppellendo quella razza che aveva osato sfidarlo, sotto montagne di roccia.

Licaone fu condannato alla dannazione eterna, il suo nome sarebbe stato associato a quello del lupo nemico delle greggi, oppure dell'uomo che mangia i suoi simili, temuto da tutti e mai dimenticato, sarebbe stato il responsabile del diluvio che aveva distrutto il mondo. Licaone non doveva essere mai più dissepolto perché con lui sarebbe riemerso il male e il mondo sarebbe stato distrutto...”

Si. Come nella peggiore sceneggiatura di un film di seconda categoria. Gli archeologi aprono il sarcofago e ne spunta fuori, vivo e vegeto un mostro sanguinario!

Per fortuna che non ero mai stato impressionabile.

Però questo libro meritava più attenzione.

Vi erano veramente tante differenze con la versione nota a tutti. Non fosse altro che per decretarne la falsità sarebbe stato interessante approfondirne le origini.

Me ne sarei occupato più avanti. Ora avevo cose più importanti a cui pensare.

La conferenza cominciò alle diciotto in punto. I primi ospiti cominciarono ad arrivare verso le diciassette, qualcuno si avvicinò per salutarmi, tra questi un mio vecchio professore dei tempi dell'Università che non vedevo da almeno vent'anni.

Alle diciotto e trenta ebbe luogo il primo collegamento video. Il luogo degli scavi era coperto dalla pioggia incessante. Fortunatamente il sarcofago era stato portato in un grosso hangar allestito per l'occasione. Poteva piovere quanto voleva ma lo spettacolo sarebbe andato avanti comunque.

Alle diciannove e trenta mi avviavo alla conclusione. Ancora qualche minuto e sarebbe arrivato il segnale che tutto era pronto per aprire il sarcofago in diretta. Mi apprestavo a fare le mie considerazioni finali sul significato della morte di Licaone e su cosa ci si poteva aspettare di trovare all'interno del sarcofago dopo circa quattromila anni. Se le condizioni di umidità fossero state ottimali il teschio si sarebbe potuto conservare intatto, probabilmente anche parte del tessuto che ricopriva il corpo. Era sperabile che con il re fossero state seppellite anche le sue armi e qualche gioiello, ma niente più.

Erano le otto e in teoria il segnale della diretta doveva essere già arrivato ma così non era. Sarei potuto andare avanti ancora per qualche minuto ma non di più, a meno di inventare o dare la parola agli ospiti per eventuali domande.

Poi, di colpo, eccolo finalmente.
-Signori, ora assisteremo all'apertura in diretta del sarcofago che ha custodito Licaone, l'empio sovrano d'Arcadia, negli ultimi quattromila anni.

La voce stentorea con cui diedi l'annuncio quasi mi fece trasalire. Mentre pronunciavo queste parole un lampo più potente degli altri aveva illuminato a giorno le finestre dell'auditorium. Un sordo brontolio lo seguì, a distanza di qualche secondo.

Il sarcofago si aprì. Il massiccio coperchio venne poggiato a terra e l'operatore tv si accinse finalmente a riprendere le immagine di un re vissuto quattromila anni prima.

Le ossa erano integre, la forma perfettamente distinguibile sotto un velo sottile di polvere dorata, era quella di un enorme lupo...
Da quel giorno passarono mesi senza che la pioggia cessasse per un solo attimo.

Ancora un fulmine nel cielo, forse a testimoniare la collera di Giove per aver riesumato il suo antico nemico, cadde sulla terra.

Ma nessuno più avrebbe potuto testimoniarlo...
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

1 Ovidio, Metamorfosi.

martedì 21 gennaio 2014

Dodici racconti per un anno

Scrivere un racconto è una fantastica esperienza.
Non è facile ma lascia in bocca il dolce sapore del miele.
La fantasia e lo studio devono supportare ogni storia. L'inizio e la fine ne decretano il successo ma solo se ogni parola, ogni immagine che si vuole trasmettere è curata con attenzione.
Questo è il mio secondo libro di racconti, spero sia meglio del primo.

Buona lettura!

Dodici racconti per un anno

Alessandro Giovanni Paolo Rugolo

giovedì 16 gennaio 2014

La partenza...

Alla fine è arrivato il diciassette di agosto, l'ultimo giorno di vacanza.

Domani partiremo per lasciare il paese d'origine, Gesico, per tornare a casa a Roma.

Torneremo l'anno prossimo in estate a trovare i genitori.

Anche questa volta non sono riuscito a fare che un decimo delle cose che mi ero ripromesso, ma anche questa è una costante. Vediamo: ho ancora in tasca la lista delle cose da fare compilata prima di cominciare le vacanze.
Visita al nuraghe Cobumbus – fatto.

Visita all'amico Celeste – fatto.

Cena con i vecchi compagni di scuola – saltata.

Visita al museo di Cagliari – fatto.

Visita a zia Nina... accidenti. Anche quest'anno!
Ogni volta la stessa storia. Faccio l'elenco delle cose importanti e poi lo controllo sempre l'ultimo giorno.

Mancano solo poche ore all'ora di cena, se sono fortunato faccio ancora in tempo a salutare zia Nina e zio Lucio.

Ma si, proviamo!

Chiedo a mio figlio di accompagnarmi da Zia Nina, lui viene sempre volentieri a salutare i parenti.


Zia Nina è la più vecchia rappresentante della famiglia Schirru a Gesico, sorella di mia nonna Cenza, e quando posso vado sempre a salutarla.

Passo a prendere mia madre e tutti e tre raggiungiamo la casa di zia, all'ingresso del paese.

La casa è fatta per una famiglia numerosa, come un tempo. Il portone grande e massiccio nasconde il cortile interno, con al centro un bellissimo pozzo. Il cortile è pavimentato con pietre irregolari e tra queste cresce l'erba. Sul lato sinistro si vedono ancora le loggette per il bestiame, un tempo si sarebbero sentiti i belati delle pecore e il rumore della gente che vi lavorava. Oggi è tutto cambiato, tutto abbandonato, triste e spento. A destra la casa padronale, con sul davanti un filare di alberi d'arancio ornamentali. Una volta da bambino avevo assaggiato uno di quei frutti amarissimi, non potrò mai scordarlo!

Quando arriviamo sono appena le sei. La zia è in cortile, seduta su una seggiola bassa, circondata da parenti venuti a trovarla, salutiamo tutti e veniamo invitati a sedere. Zia Nina ci offre un'aranciata e un dolce, come è sua abitudine.


Poi ai saluti seguono le interminabili chiacchierate sui parenti, sulle nascite e morti e sull'albero genealogico di famiglia.

Solo più tardi zia inizia a raccontare quelle cose che più mi piacciono, piccole filastrocche, muttettus e preghiere in lingua sarda campidanese.

Che memoria!
La serata è bella, ma la zia guarda con insistenza verso sud e ad un certo punto comincia a parlare a voce alta, per attirare l'attenzione di tutti.

“Domani sarà una brutta giornata. Mi raccomando, state a casa. Evitate i viaggi e portate il bestiame nella stalla.”

“Ma zia, che dici, nelle previsioni del tempo non hanno detto niente.”

Mi lamento io, ma lei mi guarda con un sorriso beffardo di chi la sa lunga e continua come se io non esistessi.

“Non c'è alcun dubbio, si avvicina un grosso temporale. Pregherò santa Barbara perché lo tenga lontano da casa e santu Jaccu perchè vi protegga lungo il viaggio.”

Era inutile discutere. Se zia si era messa in testa una cosa, doveva essere quella.

Le credenze popolari della Sardegna attribuivano ai santi il compito di proteggere le persone da eventi naturali che potevano essere pericolosi o dal malocchio.

Qualche anno prima mi aveva raccontato come si curava il malocchio e mi aveva insegnato "is brebus", le parole da pronunciare per proteggere o per curare chi veniva colpito dal malocchio.

All'interno della filastrocca vi erano spesso i nomi di alcuni santi che avrebbero dovuto fungere da protettori o intermediari.

Ebbene, anche per proteggersi dai temporali i santi avevano la loro importanza, Santa Barbara e San Giacomo in particolare.
La visita era finita, erano le sette e ci aspettavano a casa per la cena.

Ero felice di esser riuscito a salutare la zia e potevamo rientrare con la certezza che, se un temporale ci fosse stato, qualcuno ci avrebbe protetto.
Cenammo tutti assieme in cortile a casa dei miei genitori. La serata era bella, l'aria tiepida e il vino buono aiutava nella conversazione.

Poi, ad un certo punto, mia madre chiese di aiutarla a ritirare tutto prima di andar via. Sparecchiammo velocemente e mi accingevo a salutare quando chiese di aiutarla a portare dentro anche i tavoli, le sedie e i vasi che aveva in veranda.

“Che bisogno c'è di portare dentro tutto, è una bellissima serata...”

La sua risposta mi lasciò di stucco. “Alessandro, non hai ancora capito che se un vecchio ti dice una cosa lo devi ascoltare? Se zia ha detto che domani ci sarà un brutto temporale, occorre prestar fede e prepararsi.”

Non avevo voglia di discutere, aiutai a portare dentro i vasi e poi ci salutammo. Ci saremmo rivisti l'estate prossima.

Quella notte mi tornò in mente una vecchia filastrocca che avevo sentito tante volte da piccolo. Mia nonna la recitava sempre quando si avvicinava un temporale. Diceva che serviva a proteggere i suoi cari dai pericolosi temporali e dai fulmini. La filastrocca era solo parte di un rito complesso che mi aveva spiegato.

“Questi riti fanno parte della nostra famiglia da secoli. Non tutti li conoscono e anche se li conoscono non possono recitarli perché solo gli appartenenti alle famiglie di stregoni hanno il potere di farlo.”

Io ascoltavo sempre mia nonna, anche quando diceva delle cose insolite.

Chiusi gli occhi e cercai di dormire.

Era passata da qualche minuto la mezzanotte quando un rumore sordo cominciò a farsi sempre più forte. Un tuono lontano si avvicinava... il vento si era alzato di colpo e gli scurini in legno cominciarono a cigolare, come per avvisare del pericolo che si avvicinava. Mi alzai incredulo e mi affacciai alla finestra.

Il cielo, a sud, era illuminato a giorno dai lampi. Le nuvole nere si stagliavano sul cielo illuminato dalla luna. Un temporale, come aveva detto la zia, si avvicinava...
Santa Brabara e santu Jaccu,
bosu pottaisi is crai de lampu
bosu pottaisi is crai de celu
non toccheisi a fillu allenu
ne in domu e ne in su sattu,
santa Brabara e santu Jaccu.
1


Le parole mi tornarono in mente di colpo, con chiarezza, le sentivo rimbombare nella mia testa. Senza rendermene conto mi diressi verso il camino in cucina. Allungai la mano destra e afferrai una manciata di cenere.

Tornai alla finestra, mi portai la mano all'altezza della bocca e cominciai a soffiare verso il temporale senza smettere di ripetere mentalmente il ritornello.
Santa Brabara e santu Jaccu,
bosu pottaisi is crai de lampu
bosu pottaisi is crai de celu
non toccheisi a fillu allenu
ne in domu e ne in su sattu,
santa Brabara e santu Jaccu.
Poi le labbra cominciarono a muoversi, involontariamente. Avevo terminato la cenere e come in un sogno vidi le mie braccia alzarsi verso il cielo.

Recitai le formule magiche, prima lentamente, poi più velocemente e a voce sempre più alta...

Santa Brabara e santu Jaccu,
bosu pottaisi is crai de lampu
bosu pottaisi is crai de celu
non toccheisi a fillu allenu
ne in domu e ne in su sattu,
santa Brabara e santu Jaccu.


Mi sembrò che il tempo non passasse più. Poi di colpo mi resi conto che il vento cambiava direzione. Il temporale si allontanava verso ovest, accompagnato dai tuoni e fulmini.


Tornai a letto in silenzio, sembrava che nessuno si fosse reso conto di niente.

Mia moglie dormiva girata sul fianco e il silenzio era tornato a regnare nella stanza.

La mattina dopo mi alzai tardi, mi sentivo stanco. Ricordavo a malapena di aver sognato.
Un sogno strano. Avevo sentito il rombo del temporale avvicinarsi, ma il sole alla finestra diceva che la giornata sarebbe stata bella. Zia Nina aveva sbagliato previsioni, meglio così. Avevamo un lungo viaggio da fare e guidare con la pioggia non mi era mai piaciuto!

Scesi in cucina. Mia moglie aveva appena messo il caffè sul fuoco e l'odore aveva appena cominciato a diffondersi nell'aria.
“Hai dormito bene?” Chiese con indifferenza.
Risposi di si, anche se ero veramente stanco, come se non fossi andato a letto per niente.
“Sai, questa notte mi è sembrato di averti visto in piedi di fronte alla finestra. Sarà stato un sogno...”
Solo in quel momento mi resi conto di essere tutto sudato, come se avessi compiuto chissà quale sforzo. Di colpo ricordai tutto con lucidità. Impossibile, pensai! Raggiunsi di corsa la finestra della camera da letto, poggiai le mani sul davanzale e osservai a lungo il cielo, cercando risposte.
Non può essere, ho sognato... pensai, e tornai in cucina.

Mi sedetti al mio solito posto e cominciai a sorseggiare il caffè.
“Amore, ti sei sporcato le mani di cenere? Vai a lavarti...”

Aggiunse mia moglie, con tono deciso...


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO


1 La traduzione è circa questa: Santa Barbara e san Giacomo/
voi avete le chiavi del fulmine/voi avete le chiavi del cielo/
non colpite i figli degli altri/ne a casa ne in campagna/santa Barbara e san Giacomo.