venerdì 25 aprile 2008

Antiche civiltà

Si dice che la storia presenti dei lati sconosciuti, si dice anche che essa rappresenti solo una parte della verità, quella che può essere tramandata ai posteri.
Sarebbe per questo motivo che gli storici di tutti i tempi hanno tenuti nascosti fatti e storie che, seppur vere, a loro giudizio non erano degne di far parte della storia dell'umanità. Tra questi ricadono tutti quegli eventi strani ed inspiegabili ad una analisi razionale compiuta secondo i canoni del moderno pensiero scientifico.
Per riuscire a trovare traccia di questi eventi "non storici" bisogna cercare in una tradizione orale che in certi luoghi permette di risalire indietro nel tempo anche atre, quattro secoli prima.
Il caso volle che io, in uno dei miei innumerevoli viaggi, mi imbattessi in uno di quei personaggi che una volta conosciuti non si possono dimenticare, una persona di quelle che portano in se la sapienza del tempo, che conservano il passato più remoto come fosse parte della loro stessa vita. Per sua bocca parlava tutto il suo popolo, ricco di fantasmi ed ombre che sembravano danzare attorno alla sua figura quando, in rari momenti, si concedeva ai suoi ricordi e intratteneva così i suoi ospiti, viaggiatori erranti assetati di sapere, che avevano avuto il suo indirizzo da qualche studioso della antica civiltà della Sardegna.
Il Vecchio, cosi era conosciuto in paese, era un anziano signore, sicuramente aveva superato i settanta da un pezzo, ma le rughe profonde che solcavano il suo viso non permettevano di stabilirne con precisione l'età. Lui d'altronde manteneva il più stretto riserbo sulla data e luogo di nascita.
Se si intervistava in proposito qualche suo compaesano, la risposta era sempre la stessa :<<>>. Qualcuno aggiungeva anche, sottovoce, che era sempre stato vecchio o almeno così lo ricordavano tutti.
Alcuni dicono che sia egli stesso uno di quegli esseri immortali di cui parla tanto spesso nei suoi racconti, inverosimili e allo stesso tempo credibilissimi per la dovizia di particolari con cui li guarnisce, particolari che i migliori libri non si soffermano a descrivere per mancanza di testimonianze dirette e sicure; i ricordi sono per lui come delle fotografie scattate in un passato più o meno recente e che trae da un immenso archivio per servirsene a suo piacimento.
Ascoltarlo mentre raccontava qualche fatto accaduto duecento anni prima era come proiettarsi in un mondo perduto, che tornava a vivere istante per istante. Rivivevano le persone, i loro racconti, le loro passioni e la loro morte, se cosi si può dire.
Durante un viaggio precedente avevo conosciuto un archeologo che mi aveva parlato di alcune tipiche costruzioni sarde e del mistero legato alla loro origine e al loro utilizzo. Mi disse che se avessi voluto informarmi più dettagliatamente su queste costruzioni mi avrebbe prestato volentieri alcuni suoi libri che portava sempre con se quando si trovava in giro per lavoro. Accettai volentieri e cominciai subito a leggere alcuni libri sulle costruzioni megalitiche in generale e sui nuraghe in particolare.
Così appresi la storia di queste costruzioni in pietra e i misteri ad esse collegati. Leggendo un vecchio libro, che poi in seguito non riuscii mai più a trovare, appresi il significato della parola nuraghe, o almeno uno dei possibili significati attribuitole, tale parola probabilmente significa torre cava o mucchio cavo. Sembrava che tali costruzioni fossero legate alla esigenza di proteggersi dalle ricorrenti invasioni di popolazioni nemiche. Ciò che allora mi lasciò esterrefatto fu un accenno alla resistenza delle mura, spesse il alcuni casi fino a sei metri. Tutto ciò ed altro ancora divenne parte delle mie conoscenze che andavo arricchendo di viaggio in viaggio.
Una sera, mi trovavo al circolo archeologico che frequentavo abitualmente, si parlava del mito di Atlantide e dei misteri collegati a certe costruzioni preistoriche e così finimmo per parlare dei nuraghi. Ebbi così l'occasione di intrattenere i miei amici su un argomento che conoscevo. Ricordare queste cose mi fece provare il desiderio di vedere di persona i nuraghi, di respirare l'aria delle loro torri, di scoprirne i segreti dimenticati dalla storia, legati solo a qualche leggenda quasi dimenticata.
Al termine di quella serata avevo già deciso di iniziare quel viaggio che poi ebbe tanta importanza nella mia vita.
La mattina dopo mi recai in agenzia per fare il biglietto non sapendo che sarebbe stato così difficile trovare un posto in aereo per Cagliari, capoluogo dell'isola.
Il primo volo in cui c'erano posti liberi partiva quattro giorni dopo, avevo tutto il tempo di preparare i miei bagagli e documentarmi ulteriormente sui nuraghi. La sera stessa cominciai a mettere da parte i libri che mi interessavano e che mi sarei portato al seguito, poi decisi che il giorno dopo sarei andato in biblioteca per vedere se esisteva una carta degli insediamenti nuragici. In biblioteca trovai ciò che cercavo, ebbi in prestito una carta che fotocopiai e poi resi al bibliotecario, un anziano signore che sembrava avesse addosso più polvere dei libri che curava, inoltre ebbi una informazione che mi avrebbe portato a scoprire cose che avrebbero cambiato radicalmente la mia vita.
Il bibliotecario era stato in Sardegna alcuni anni prima per degli studi sulla lingua e, in questa occasione, aveva conosciuto un personaggio molto speciale, noto come il vecchio, mi diede il suo indirizzo pregandomi, se ci fossi passato, di portargli i suoi saluti. Me lo descrisse come un tipo veramente speciale ma vi assicuro che nessuna descrizione può rendere l'idea di come sia fatto il vecchio.
Il viaggio fu tranquillo, all'arrivo a Cagliari un caldo tremendo mi fece capire che probabilmente non avrei avuto bisogno ne dei maglioni di lana, ne del cappotto che per abitudine portavo sempre appresso. Una volta atterrato e ritirati i bagagli, presi un taxi che mi condusse direttamente a Cagliari dove c'era una camera per me in un albergo sulla via principale della città. Appurai in seguito che il rumore provocato dal traffico era molto fastidioso per chi, come me, aveva intenzione di studiare e raccogliere appunti.
Il giorno dopo l'arrivo mi recai nella più vicina libreria e acquistai tutto ciò che di recente era stato scritto sulla civiltà nuragica in genere. Il pomeriggio lo passai a riordinare le mie carte e i libri e cominciai a scrivere il mio abituale diario di viaggio descrivendo le sensazioni che provavo in quella terra così antica e ricca di misteri. Devo ringraziare la mia abitudine di tenere un diario di ogni viaggio se oggi sono in grado di raccontare ciò che mi accadde in quei giorni con una tale dovizia di particolari.
Decisi che il giorno dopo avrei cominciato le visite ai musei senza attendere oltre. Tre giorni furono sufficienti a far si che mi addentrassi ulteriormente nella conoscenza della storia della civiltà nuragica e della sua espressione artistica. Ebbi occasione di conoscere alcuni studiosi del luogo che furono ben felici di parlarmi dei miti collegati alla presenza dei nuraghi in Sardegna. Fu in uno di questi incontri che si accennò ad un possibile collegamento con il mito di Atlantide, non potei fare a meno di sorridere, consideravo Atlantide una leggenda alla stregua del Diluvio Universale e non meritevole del mio interessamento. Così dimenticai subito quelle parole che accennavano all'esistenza di custodi di una civiltà perduta che vivrebbero nella nostra terra e che utilizzerebbero i nuraghi per i loro scopi.
Mi trovavo sull'isola già da una settimana e avevo cominciato a visitare i villaggi nuragici in modo sistematico, basandomi principalmente sulla loro dislocazione geografica e tenendo a mente le differenze dovute al diverso periodo di costruzione, secondo ciò che dicevano i libri. Avevo stabilito il mio itinerario in modo tale da non dover percorrere l'isola in lungo e in largo più volte, principalmente perché non potevo assentarmi troppo dal mio lavoro. In questo modo trascorsi altri giorni senza che accadesse niente di particolare.
Il decimo giorno di permanenza nell'isola mi vedeva nei pressi di Barumini per la visita ad uno dei più grandi e ben conservati villaggi nuragici dell'isola: Su Nuraxi.
Tutta la zona era ricca di testimonianze antiche, sopravvissute all'usura del tempo.
Avevo trovato posto in un alberghetto di un paese vicino, Isili, e da li mi spostavo per le mie escursioni per un raggio di circa quaranta chilometri. Per i due giorni successivi mi recai al villaggio di Barumini, questo era veramente ben conservato. Appresi che era stato scavato dopo il cinquanta. Potei vedere il pozzo sacro, la stanza delle riunioni, una specie di piccolo anfiteatro. L'atmosfera era tale che potevo quasi immaginare quei piccoli esseri che prendevano posto e in silenzio assoluto cominciavano il rituale del saluto, potevo quasi sentire le loro voci anche se, pensai, non avrei capito la loro lingua arcaica. Mentre pensavo a tutto questo, una strana sensazione si impadronì di me, una sensazione di vuoto indicibile, niente che avessi mai provato prima ma che ebbi occasione di provare successivamente in luoghi misteriosi quanto la Sardegna.
Ebbi la sensazione che prova un uomo che viene inghiottito da un gorgo, questo é l'unico paragone che mi sembra lecito, anche se non esprime tutto il terrore che provai; mi rendevo conto di non essere circondato dall'acqua ma da qualcosa di più temibile. Mi parve di compiere un viaggio dentro una scatola buia in cui sprofondavo sempre di più. Vedevo me stesso immobile, luminoso nel buio più assoluto, poi di colpo il buio cessò e lasciò il posto a scorci di una storia passata o comunque molto verosimile; vedevo, come in un film di cui io ero l'unico spettatore, tutto ciò che avevo letto nei libri e che avevo appreso nei giorni di permanenza sull'isola, ma vedevo anche molto di più; vedevo strane luminescenze nel cielo stellato di tanti secoli prima. Vedevo strani esseri vestiti di bianco muoversi in mezzo a rozzi rappresentanti di una civiltà antica. Vedevo adunanze in cui crudeli sacrifici venivano compiuti a favore di un dio potente che scendeva tra quei rozzi uomini a bere e mangiare il corpo del sacrificato. Veniva dal cielo in mezzo ad un fascio di luce azzurrognola che fungeva forse da ascensore tra un oggetto luminosissimo, ma forse per questo indistinguibile nella sua essenza, fermo a mezz'aria e la terra con i suoi rappresentanti, impotenti di fronte a simili forze divine.
Vedevo tante cose assurde per la mia mente scientifica, abituata a non fantasticare troppo su ciò che conosceva.
Di colpo, così come erano arrivate, le immagini sparirono. In un istante mi parve di ripercorrere il tunnel in cui ero sprofondato in senso contrario o meglio, ripensandoci bene, nel verso giusto perché la prima volta tutto sembrava come un film visto dalla fine verso l'inizio, un inizio che però non vidi a causa del mio ritorno alla realtà.
Probabilmente tutto ciò non duro che qualche minuto perché quando mi risvegliai dal mio stato di incoscienza il sole si trovava ancora nella posizione in cui l'avevo visto la volta precedente, l'unica differenza nel paesaggio consisteva nel fatto che un vecchio con barba e capelli bianchi ed incolti si trovava a qualche passo da me, seduto in quella stanza delle riunioni in cui mi trovavo quando ero stato colto da quello strano senso di vertigine che aveva preceduto le mie visioni.
Ebbi la sensazione di dovermi giustificare per il mio comportamento o forse per la mia presenza li, in quel luogo sacro e misterioso, ma non ebbi il tempo di proferire parola. Fu il vecchio che con un semplice gesto mi fece capire che dovevo sedermi accanto a lui. Con quel gesto il vecchio mi diceva tante cose .... , di nuovo una strana sensazione si impadronì di me, come se qualcuno frugasse nel mio inconscio alla ricerca di quel qualcosa di arcaico che é presente in tutti noi, di quel qualcosa che per tanto tempo é stato chiamato anima e di cui mai nessun uomo ha potuto provare l'esistenza. Io sapevo che la mia anima si trovava in mano a qualcosa di potente, a qualcosa che non era umano come noi intendiamo ma che comunque non era cattivo anzi, doveva essere buono, molto buono e allo stesso tempo molto forte. Mi pareva che qualche forza primordiale si fosse impadronita della mia anima per il tempo necessario per studiarmi e poi me la avesse resa, così come era stata presa qualche istante prima.
Capire che il gesto del vecchio era legato a ciò che mi era accaduto e cadere a terra svenuto fu un tutt'uno.
Quando mi ripresi ero solo, seduto su una panca in pietra, istintivamente mi voltai intorno per vedere che fine avesse fatto il vecchio ma non vidi nessuno. Guardai l'orologio e mi resi conto che era quasi l'ora della chiusura così mi avviai verso l'uscita con la mente ancora sconvolta da quegli avvenimenti tanto stupefacenti quanto inaspettati.
Quella sera rientrai presto in albergo, gli avvenimenti della giornata mi avevano sconvolto e stancato, così dopo qualche minuto mi infilai a letto e non impiegai tanto ad addormentarmi.
La mattina dopo mi svegliai verso le sei, giusto in tempo per vedere una stupenda alba. Il rosseggiare del sole, le nuvole alte e leggere che solcavano il cielo, il cinguettare degli uccelli appollaiati sulle grondaie mi fecero pensare che avrei trascorso una bella giornata. Mi lavai e vestii, poi scesi a fare colazione.
Per un istante mi bloccai sul pianerottolo della scala, mi girai e fissai un quadro che si trovava sulla parete di sinistra. Era una vecchia tela che rappresentava il volto di un vecchio dalla barba bianca e dai capelli dello stesso colore. Avrei giurato che si trattasse dello stesso vecchio che il giorno prima avevo incontrato al nuraghe. Ma avevo veramente incontrato qualcuno il giorno prima o si trattava di semplice suggestione, dovuta a quei giorni di studi appassionati ed al desiderio di scoprire a tutti i costi qualcosa di misterioso ? Poteva darsi che fosse tutta suggestione ma ora volevo andare avanti. Se prima ero spinto dal miraggio del mistero adesso che un mistero esisteva, anche se solo nella mia mente, il desiderio di chiarire tutta questa strana faccenda centuplicava le mie forze e spingeva la mia mente ad ipotizzare spiegazioni quantomeno strane.
Di colpo mi tornò in mente il vecchio di cui mi aveva parlato alcune settimane prima il bibliotecario che mi aveva prestato la carta degli insediamenti nuragici e in un attimo ebbi la certezza che quel vecchio era lo stesso che avevo visto a Barumini e che se volevo trovare il bandolo della matassa dovevo trovare lui.
Senza perdere altro tempo mi diressi verso l'auto che avevo affittato a Cagliari e che si trovava parcheggiata poco lontano, ricordai che il giorno prima avevo lasciato la carta turistica sul sedile posteriore. Cercavo di ricordare il nome del paese in cui abitava il vecchio. Ricordai che viveva solo in una grande casa posta a qualche chilometro dal paese di Oliena, con l'aiuto della carta avrei trovato il posto.
Oliena era assai distante da dove mi trovavo io, dovevo risalire quasi tutta la Sardegna. La casa del vecchio si trovava in una località chiamata Su Gologone.
Chiesi informazioni su quale fosse il modo migliore per raggiungere Oliena e quindi, raccolte tutte le mie cose dall'albergo, partii.
Arrivai ad Oliena verso l'ora di pranzo, trovai alloggio e mangiai qualcosa, quindi sistemai le mie cose e mi ripromisi di uscire in serata per chiedere dove abitasse il vecchio e per visitare quella stupenda località che é Su Gologone. Avevo ancora alcune ore a disposizione così decisi di riposarmi, il lungo viaggio in macchina mi aveva stancato non poco.
Come mi poggiai sul letto caddi in un sonno profondo, senza sogni, eppure quando mi svegliai, provai quella strana sensazione che si ha quando si cerca di ricordare qualcosa che si é sognato, ma l'unica cosa di cui ci si ricordi é di avere sognato. Eppure ero certo di non aver sognato.
Attribuii quel mio stato alla stanchezza che in quei giorni mi aveva provato e così decisi di rimandare la mia uscita al giorno dopo, quando sarei stato più riposato.
Scesi comunque nella hall, dove trovai il proprietario dell'albergo, e chiesi se mi poteva essere servita la cena in camera in quanto ero molto stanco e non avevo voglia di uscire. Il padrone fu molto gentile e mi assicurò che nel giro di mezz'ora mi avrebbe fatto portare la cena più gustosa che avessi mai mangiato e devo dire che mantenne la sua parola. Chiesi che, possibilmente, fosse tutto a base di pesce perché volevo stare leggero e poi, dopo aver ringraziato, mi ritirai nella mia camera.
Circa mezz'ora dopo arrivò la mia cena, antipasto misto di mare, spaghetti allo scoglio, gamberoni arrosto e zuppa di pesce; ogni piatto era servito con contorni di verdure fresche che avevano il compito di abbellire e di far risaltare i sapori di quei cibi prelibati. Al termine della cena andai a dormire e, non so se a causa di questa, ebbi degli incubi.
La mattina dopo ricordavo a mala pena che in uno degli incubi mi era parso di vedere il vecchio dalla barba bianca che mi fissava mentre io venivo scaraventato contro una parete ricoperta da punte aguzze. Il vecchio mi guardava benevolo e mi tese la mano poco prima che il mio corpo arrivasse a sfiorare le punte. Poi scomparve e io restai solo con i miei incubi.
Il mattino dopo mi alzai di buonora e chiesi al padrone dell'albergo se poteva indicarmi il luogo in cui abitava il vecchio. Mi indicò una casa antica che si scorgeva appena, immersa com'era nella vegetazione.
Era una vecchia casa in pietra, di un solo piano. L'ingresso era costituito da un portoncino in legno esposto a sud. Il tutto aveva un aspetto strano, come di una casa antica ma allo stesso tempo nuova, pareva che il tempo si fosse fermato. Gli alberi che circondavano la casa erano dei grossi ulivi ma la particolarità stava nelle cinque querce millenarie i cui tronchi avevano un diametro di circa due metri, disposte a pentagono intorno alla casa quadrata, come per proteggerla da qualunque influsso maligno. Mi appressavo alla casa con animo di chi si aspetta che accada qualcosa da un momento all'altro. Nel momento in cui oltrepassai la linea immaginaria di quel pentagono formato dalle cinque querce, la sensazione di stordimento che avevo già provato nei giorni passati mi assalì più forte che mai. Mi resi conto di essere nuovamente immerso in quel gorgo spazio temporale in cui già una volta ero sprofondato.
Rivissi quelle sensazioni che avevo provato all'interno del nuraghe di Barumini. Questa volta però ebbi tutto il tempo di vedere nella loro interezza, quegli sprazzi di storia passata che la volta prima mi erano stati solo accennati.
Tornai in albergo a tarda sera, la mattina dopo mi alzai presto, raccolsi le mie cose e pagai il conto, quindi mi diressi verso la casa del vecchio, o meglio, verso la mia nuova casa.
Ora sapevo cose che nessun uomo poteva sapere e che non avrei rivelato a nessuno fino a quando non fosse arrivato il momento giusto.
Non sapevo cosa avrebbe fatto il vecchio ma sapevo quale sarebbe stato il mio compito per i prossimi tre o quattro secoli.
Forse mi sarebbero mancati gli amici, il mio lavoro, la mia famiglia ma niente avrebbe potuto distrarmi dal mio compito.
Io sono stato scelto, come un tempo gli Dei sceglievano i loro sacerdoti, per essere il nuovo custode dei resti di quella antica civiltà scomparsa che gli uomini conoscono col nome di Atlantide.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

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